ABE
Otello Calbi. Rapsodia libera di un seminatore di note
Virgilio Iandiorio, Roberta Calbi
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 160
Una preziosa testimonianza quella che con evidente affetto filiale, ma soprattutto con profonda ammirazione, Roberta Calbi ci dà dell'illustre genitore a trenta anni dalla sua scomparsa. Otello Calbi «ha percorso molte strade, esplorato nuovi percorsi, un po' restando nella tradizione ma anche cercando e trovando soluzioni nuove». Mettendo ordine nei numerosi appunti lasciati dal Maestro - quasi sintetico diario di bordo - Roberta Calbi ci delinea la figura di un artista instancabile e tenace, sempre appassionato nelle sue manifestazioni musicali, fortemente impegnato nella promozione delle giovani generazioni. Una serie di flash sui momenti salienti della vita e della carriera del Maestro ci aiutano a scoprire alcuni aspetti del suo carattere. Nato in provincia di Matera approda al San Pietro a Majella per coltivare e far crescere il precoce talento musicale divenendo poi stimato docente della prestigiosa Istituzione dalla fine degli anni '50 alla pensione. Così viene ricordata la sua esperienza di docente: «allievi, prove, concerti, diffondere la musica ai giovani, valorizzare le capacità dei giovani musicisti, questo l'impegno che lo caratterizzava, costante e sempre più intenso». La "rapsodia libera di un seminatore di note" si dipana con grande piacevolezza tra le mani del lettore: si ha modo di conoscere un Otello bambino (fin dall'età di 8 anni suonava nella Banda del suo paese natale), i suoi rapporti con il padre e i fratelli musicisti, le sue frequentazioni ed amicizie - rimaste salde nell'arco della vita - ma si scopre anche un giovane studente dallo sguardo corrucciato al cospetto della storica statua di Beethoven posta nel cortile del conservatorio, un giovane e appassionato allievo di Achille Longo, Gennaro Napoli, Ennio Porrino, un autore di musica da camera e per il teatro, un padre e un marito affettuoso, un critico musicale e un saggista, un uomo di cultura appassionato di poesia… Per i musicisti della mia generazione e in particolare per quelli che tra la fine degli anni '70 e la metà degli anni '80 del secolo passato erano studenti di Composizione al San Pietro a Majella, alcuni nomi di docenti e compositori napoletani risuonavano particolarmente familiari: Aladino Di Martino, Bruno Mazzotta, Jacopo Napoli, Alfredo Cece, Otello Calbi … personalità che pur nella diversità del proprio sviluppo artistico, manifestavano tutte quei tratti ascrivibili ad una "comune scuola" napoletana. Con serenità e consapevolezza, ma tutti con proprie personali vedute, questi compositori non persero mai di vista l'emozione del suono (l'espressione melodica, il gusto per l'armonia…), tutto quello cioè che, con furia demolitrice, la "nuova musica" della metà del '900 bandiva dalla composizione contemporanea. La loro posizione era sostanzialmente conservatrice, estranea ad eccessi modernistici: essi attinsero consapevolmente alla musica delle diverse epoche storiche (senza escludere anche gli anni a loro contemporanei) purché risultasse utile alla realizzazione delle proprie opere e congeniale al proprio sentire artistico. Noi "giovani" di lì a qualche anno avremmo intrapreso strade diverse da quelle da loro tracciate, ma la stima e la riconoscenza nei confronti di coloro che a vario titolo contribuirono alla nostra formazione di docenti ed artisti è rimasta salda e immutata nel tempo. Al di là della diretta discendenza didattica (allievo di Aladino Di Martino, nel mio caso) tutti questi docenti e compositori hanno in qualche maniera influenzato le nostre storie e lanciato dei semi che sono stati raccolti e fatti germogliare. Sebbene abbia conosciuto il Maestro Otello Calbi di persona quando già cominciavo a muovere i primi passi da docente di composizione, nei primi anni '90 - quando il Maestro era oramai in pensione - il suo nome mi era invece molto familiare da tempo: ... Gaetano Panariello Direttore del Conservatorio di Musica San Pietro a Majella di Napoli
Bona di Savoia, la ducissima di Milano: l'orfanella, l'eredità degli Sforza e il voto a Firenze
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 132
Nobildonne, rapporti epistolari e comparaggi negli stati preunitari. Volendo dare un incipit a questo testo di storia pura, l'autore non poteva che partire dall'albero genealogico dei Savoia, rinvenuto in un manoscritto dalla copia inedita, inserito nelle ultime biografie trattate in collana. Ma non solo. Si riparte anche da Francesco, figlio del fu Muzio Sforza, capitano del Regno di Napoli, giunto da Cotignola per mostrare il suo ardire e il suo ardore verso la Regina Giovanna, portando a casa feudi e castelli dotali per sé e per i figli. Si può quindi tranquillamente affermare che gli Sforza beneventani furono cugini stretti del Duca di Milano, possedendo gli imprendibili castelli sui passi dell'enclave papalino che costarono il Regno a Re Renato d'Angiò. E' quindi da Francesco che nacque anche la progenie Sforzesca di Milano per aver saputo farsi spazio a corte, fra una cavalleria e un ammiccamento con Bianca Visconti, dalla quale ebbe tutta l'eredità degli Stati lombardi, a danno dei familiari, già sul piede di guerra. Fu questo forse il motivo per cui il piccolo Galeazzo non era nemmeno nato che la mamma provvide a lanciarlo sul mercato più vicino, quello di Mantova, designando per amata duchessina del figliolo la bella e intelligente, nonché poetessa acculturata dei Gonzaga, Dorotea dagli occhi bianchi. C'è da dire che fra i due pargoli nacque anche l'amore pure, sbocciato nell'istinto amoroso adolescenziale, fra lettere, bacini e lacrime d'amore. Accadde però che Bianca intravide nel figlio la speranza di poter presto riunire in qualche modo la famiglia Viscontea per evitare guerre, immaginando di dare il figlio, come suggeriva l'astuto e arguto marito Duca, nelle mani di ben più ricco e nobile signoria. Da qui la separazione epistolare, struggente, fra gli amanti per sospetti sulla verginità della dama dagli occhi bianchi, voltando pagina per gradimento della Padrona di Milano, affinché Galeazzo sposasse il partito Savoiardo, impalmando l'orfanella rimasta in casa del Duca Amedeo: la bella Bona. E così ecco Bona già pronta a frequentare la corte sforzesca, mentre la cognata diventa Duchessa di Calabria e la cometa di Halley non preannuncia nulla di buono: solo il sisma e la peste. Ma Galeazzo è l'erede e Bianca è la sposa, anche se non piace a tutti in Casa, che Amedeo di Savoia gli porta sull'altare il 6 luglio 1468. Da qui l'amicizia fra casate sempre più influenti degli Stati Italiani preunitari, arrivando a Firenze, per raggirare le difficoltà sopraggiunte a Napoli. Ma se mancano i soldi l'astuzia di Bona provvederà a trovarli. Le lettere con Lorenzo de' Medici rappresentano la prova della corrispondenza privata fra le famiglie al fine di ottenere soldi, tanti soli, in prestito certamente, offrendo banchetti e battesimi di comparaggio, e le insegne ducali. Spunta così il voto fatto da Bona alla Madonna di Firenze e il viaggio organizzato dal marito, con pifferi, musici e poeti, con l'intera corte milanese al seguito, il tutto in onore della moglie. Il programma fu impostato per aprile del 1471 e uno stuolo di nobili timorosi dell'invasione veneta e affamati di potere entrò in Firenze il 1 maggio, per la sfilata delle carrette milanesi. Festa fatta, prestito avuto, alleanza stretta, non resta che tornare a casa per la via di Lucca, Genova e Pavia, donando qualche Terra faentine ai nipoti di Papa Sisto e sedendosi a tavolino per passare a stringere nuovamente i rapporti con i Napoletani. Stavolta sarà il biondo e virile Giangaleazzo a sposare Isabella d'Aragona, riportando soldi e allegria in Casa degli Sforza e dei Savoia, prima del terribile epilogo che quattro anni dopo insanguinò la Basilica di Santo Stefano a coltellate, strappando a Donna Bona l'amato figliolo.
Galateo da Galatone, uomo edito e inedito: storie napoletane di Antonio de Ferraris a 500 anni dalla morte in quel di Lecce
Virgilio Iandiorio
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 120
La corte dei re Aragonesi richiamava in Napoli gli uomini di cultura dalle province del Regno, non solo, ma anche dall'Italia e da altri paesi europei. Giovanni Gioviano Pontano, nato a Cerreto di Spoleto (Perugia) bel 1429, restò accanto ai regnanti aragonesi fino alla fine della sua vita nel 1503, e divenne l'elemento catalizzatore per tanti uomini di cultura del Regno. Ai re Aragonesi non dispiaceva certamente essere circondati da personaggi famosi per le loro attività artistiche e professionali. Tra i molti protagonisti di questo «Rinascimento» meridionale" un posto importante va dato ad Antonio De Ferrariis, che assunse il nome di Galateo dalla sua città natale. Era nato, infatti, a Galatone, città del Salento; l'anno di nascita non è meglio precisato tra il 1444 e il 1448. Studiò greco antico in gioventù a Nardò e a San Nicola di Casole (vicino Otranto). Galateo si occupò di studi filosofici e della medicina. All'invito di re Ferdinando I, egli divenne medico alla corte aragonese in Napoli. Mantenne strette relazioni con gli umanisti meridionali, quali Giovanni Gioviano Pontano, Pietro Summonte, Belisario Acquaviva e soprattutto Jacopo Sannazaro. Fondò l'Accademia Lupiense a Lecce. A causa dello scontro franco-ispanico, nel 1501 da Napoli ritornò nel Salento, dove si dedicò alla revisione dei suoi scritti e alla composizione di nuovi lavori. Morì a Lecce il 12 novembre 1517. Pietro Antonio De Magistris, vissuto a cavallo tra il XVI e XVII secolo, scrisse la biografia di Antonio Galateo, che Giovanni Bernardino Tafuri inserì nella premessa all'edizione del 1727 De Situ Japygiae dell'illustre galatonese , ma che già era apparsa la prima volta nella ristampa dell'opera a Napoli nel 1614. Ecco come si presentava, nell'aspetto fisico, Antonio Galateo. "Fu egli di ottima tempra -scrive il de Magistris -, di corpo giusto e quadrato, però obeso; di testa un po' grande; di fronte larga ed elevata; di occhi azzurri, che sono indizio di grande acume di mente; fu di colore vivace, di faccia gaia, bella e veneranda… Usava assai parcamente di cibo e di sonno, era pago di cena semplice. Alla terza o quarta ora della notte andava a dormire, alla nona o decima si levava". Queste le sue caratteristiche morali e culturali:" Fu persecutore dei vizi, amante di virtù, ammiratore di antichità; nemico dell'ignoranza, facilmente tollerava che fosse vinto dalla ragione; aborriva la millanteria; gli piacque però non poco quella socratica ironia, ma in modo che egli era più fiero di lingua, che di fatti, come si raccoglie dalla Descrizione di Gallipoli… Egli fu filosofo e medico assai celebre, molto versato nelle matematiche e nello studio della cosmografia; peritissimo nella greca e latina lingua, e in ogni altra disciplina così erudito, che da tutti i dotti del suo tempo era appellato onnisciente. Fu primo medico di Ferdinando I, re di Napoli. Da Alfonso II fu ricolmo di benefizi". Così il biografo descrive la morte del Nostro: «Galateo, nell'anno del Signore 1517, ai 12 di novembre, nell'ora settima della notte, come si ricava dal libro sull'educazione a Crisostomo, morì di anni 73 in Lecce, ed ivi nella chiesa di San Giovanni dell'ordine dei predicatori si legge sul sepolcro di lui questo epitaffio, che egli stesso si compose». «Quel Galateo che conobbe le arti mediche e le stelle del cielo giace sepolto in questo luogo; ei che concepì nella mente il mare, la terra e gli astri, vedete, o mortali, quanto piccola tomba lo racchiude». Il libro De situ Japygiae ripubblicato dal neretino Giovanni Bernardino Tafuri (Nardò 1695-1760) contiene, oltre alla suddetta biografia del Galateo, una silloge di giudizi critici sull'autore, e anche suoi componimenti poetici.
Abbecedario di Apice. Genealogia, cognomi e toponomastica nella terra dell'ex Ducato di Ariano di Puglia
Anna Barbato, Sabato Cuttrera
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 186
Anche in questa pubblicazione il lettore troverà riportati alcuni nomi o frasi in dialetto dovute non all'uso errato della lingua italiana, che non è mai riuscita a sostituirsi al napoletano, ma al vero e proprio all'utilizzo settecentesco che si fa di quel termine. Ecco perché si ritrovano toponimi come masto o mastro anziché maestro, bracciale, come detto, al posto di bracciante. Altri sono stati spesso lasciati nella loro forma originale, al contrario di vidua con vedova, quasi sempre italianizzato per evitare di incorrere in gravi errori numerici in quanto possono rappresentare intere famiglie e non la singola persona. Fratello, suocera e sorella vengono invece semplicemente indicati come f.llo, socera e s.lla, come la nonna e il nonno con ava e avo, i due braccianti non sposati chiamati ziti, da 'zitelle' al maschile. Le bizzoche, cioè le monache o suore che dir si voglia, o solo novizie anche pronte a spogliarsi, sono state lasciate così come rinvenute, idem per le vergini in capillis, definite anche solo vergini o solo in capillis dalla mano del compilatore. Come segue, il lettore troverà il frontespizio ufficiale, e contrassegnati in ordine alfabetico per nome di capofamiglia, sono stati elencati i fuochi, con l'età di ogni singolo componente, domicilio e beni, laddove è stato possibile riconoscerli, come nella versione originale del Catasto. Si tratta di una semplificazione dei dati relativi alla situazione familiare e patrimoniale, unitamente ai luoghi di residenza e al reddito dichiarato (cifra espressa in once), fedeli al testo consultato, sebbene il compilatore abbia trascritto medesimi cognomi e toponimi non in maniera uniforme e manchi la sezione catastale denominata Collettiva o Unione d'once, l'elenco finale a cui si poteva fare riferimento per un riscontro diretto. Nelle successive pagine il lettore troverà rispettivamente la situazione patrimoniale di Vidue e Vergini in capillis cittadine e degli Ecclesiastici Secolari Cittadini. A seguire anzichè, come al solito famiglia del ricco feudatario, compaiono i nomi dei Forastieri abitanti in detta Terra, della sezione sottintesa riguardante i restanti Forastieri [Abitanti Benitenenti Ecclesiastici Secolari di diversi paesi], con gli altri assenti Forastieri [Bonatenenti non abitanti]. In questa nota con la lettera a. sono stati contraddistinti quelli della Terra di Bonito, con la lettera b. quelli di Santa Paolina, con la c. il commorante in Monte Fusco, con la d. quello di Paduli, con la lettera e. il tizio di Solofra; con f. quello di Casal di San Giacomo; g. di Vitolano; h. il commorante in Bonito; i. quello di Monte Fuscoli; l. di Mirabella; m. di Lapio; n. del Casale di Sant'Angelo à Cupola; o. di Benevento. E solo a seguire c'è la intestazione Ter / Septies che è la continuazione dei Forastieri Bonatenenti non abitanti in quanto si riferisce alla situazione patrimoniale del feudatario che, la mano del compilatore, ha preferito serbarsi alla fine. Come è stata inserita la sottintesa Sezione, riguardante i Beni stabili e annue rendite dell'Università di Apice relativa ai Bonatenenti abitanti e, per pura formalità, abbiamo indicato la Sezione relativa al riepilogo, in genere chiamata Collettiva Generale dell'Oncie, che, nel Catasto Onciario di Apice, è andata perduta. In ultima analisi, a compendio del lavoro, il lettore troverà in questa medesima Appendice documentaria, anche la capitolazione comunale emanata dai feudatari locali, rimasta in vigore almeno fino al 1665, ma sicuramente rimaneggiata negli anni successivi, che va sotto il titolo originario di Capitoli dell'Università della Terra di Apice / 1546.
Ricchi e poveri di Avellino città. 1000 fuochi, 500 forestierI, 200 preti, 100 vergini, 50 chiese. Volume Vol. 2
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 252
...Avellino fu una città vescovile della provincia di Principato Ulteriore del Regno di Napoli, il cui feudo era divenuto di proprietà privata della Casata Caracciolo. Facevano eccezione i luoghi pii dipendenti dalla provincia Diocesana di Benevento o da altri istituti, come nel caso dell'Ospedale di San Tommaso, appartenuto a Montevergine, o del monastero di San Paolo, accosto alla Casina del Principe, dipendente dall'eremo dell'Incoronata di Sant'Angelo a Scala. Ai Principi avellinesi era piaciuto circondarsi di altrettanta nobiltà, fin da quando scelsero di risiedere a Napoli, lasciando la città nelle mani di un governatore facente funzione di erario loco feudi. E' lui che gestisce gli introiti delle tasse di migliaia di persone, decide la sorte dei poveracci, premia i ricchi che non pagano le tasse. E' la realtà dei fatti nel Settecento avellinese che si dipana da Atripalda a Mercogliano, con decine di episodi criminali che si rifanno alla giustizia antica e vari casi politici, religiosi e familiari. Ma questa 2 parte del libro è principalmente l'elenco degli abitanti, dei nuclei familiari, dei mestieri, delle strade e delle chiese della città vecchia. E' la base per chi vuole creare l'albero genealogico nel Settecento e per chi vuole conoscere i veri residenti e i forestieri, religiosi e chierici, monache del passato e le citazioni migliaia di documenti solo per questo volume. Da non perdere per chi ama la ricerca.
Avella e i casali di Baiano: la collegiata di san Giovanni dei fustiganti e gli ex casali di Vaiano del monte Vergine
Fiorentino Alaia, Sabato Cuttrera
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 132
Scopo di questo lavoro che andiamo a presentare al pubblico è documentare l'articolazione degli scenari politici ed economici attraverso arti, professioni, imposte e gabelle dei Catasti Onciari in modo che si abbia un quadro storico della vita sociale del Baianese e della provincia di Terra di Lavoro nel Settecento. Mestieri, attività, famiglie che hanno un suono ancora oggi nelle nostre contrade. L'intento è stato quello di fornire, attraverso i dati storici, sussidi indispensabili per la comprensione e la corretta interpretazione degli eventi del 1700, giustamente definito il secolo dei lumi. E' questo un lavoro sulla storia di Baiano casale di Avella più vicina a noi, e quindi anche più comprensibile, nella seconda metà del 1700. Cognomi di uomini che rivivono alla riscoperta delle nostre origini. Si tratta di volumi di storia locale, quella trascurata dalla Storia con la S maiuscola, tranne rapidi e spesso incomprensibili accenni, rivalutata nel secolo scorso dagli storici francesi degli Annales e ormai acquisita anche dalla maggior parte degli storici italiani, che ha un valore insostituibile per la conoscenza delle nostre radici. E' un sapere vitale per la comprensione piena del nostro presente che ha appunto le radici in quel non tanto lontano periodo storico. Non è meno fondamentale l'acquisizione dei nostri giovani di nozioni storiche, tradizioni, abitudini, usi e costumi degli antenati. L'iniziativa, ne siamo certi, accoglie il favore della popolazione, in quanto è arricchimento di ogni cittadino dell'amore che sente per la propria terra nativa. I catasti comunali, teoricamente, avrebbero dovuto servire alle amministrazioni locali per una equa tassazione, che, al contrario, molto spesso veniva fatta gravare artificiosamente addirittura sui meno abbienti. Era necessario per ovviare a questi veri e propri soprusi che i dichiaranti indicassero tutti i beni stabili, le entrate annue di ciascun cittadino e dei conviventi. I nobili dovevano rivelare i beni posseduti nella propria terra e anche quelli in cui abitano con la famiglia e con i congiunti, facendone una breve, chiara e distinta sintesi sul margine della rivela (autodenuncia). E' la meravigliosa documentazione portata alla conoscenza diretta degli eredi di quei nonni. Interventi, studi e note di chi, con proprie capacità, intelligenza e amore per la storia locale, ha messo su carta la vera riscoperta essenziale delle radici e della storia. Che è poi la strada percorsa in questi anni da chi, come noi, ama la memoria storica di Marzano e del Vallo di Lauro. Un grazie va a Fiorentino Alaia che ha arricchito questo volume. Il suo studio verte sugli edifici del centro cittadino, fra cui il «Convento dei Frati Minori e le chiese. Tra queste la Collegiata di San Giovanni dei Fustiganti che vanta la sua fondazione nel 536 a opera del Pontefice San Silverio Campano, secondo gli eruditi nativo di Avella». Ma anche senza scomodare il papa, a noi è bastato leggere gli statuti e la ricostruzione che fa Alaia dal 1500 in poi per capire l'importanza di questa Collegiata della Terra di Avella.
Lioni e Oppida nei feudi di Giffoni Valle Piana: dalla Terra irpina di Castellionem dell'ager di Picentia ai mestieri di Via Marconi con la fiera di San Rocco (N. 35 Paesi della Campania-Irpinia)
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 128
All'epoca risultano esercenti arti e commercio svariati cittadini. Tenevano per esempio il loro alberghetto Nicola Ilaria, Gaetano Soriano e Luigi Quagliariello. Chi voleva solo mangiare poteva sostare nelle trattorie di Fortunata Nolfi e Giuseppe Rullo. Per un buon bicchiere poteva bastare una bettola, quella di Vincenzo Soriano e Alfonso Ruggiero. Si tratta di piccoli punti di svago, lungo le vie principali, gli unici, oltre le caffetterie, se si pensa che di pubblico non v'è altro, se non i locali dei tabaccai Domenico Corso e Giuseppe Ricca. Ma per il caffè non c'era problema. Lo si poteva gustare da Angelo D'Andrea o da Giacomino e Salvatore Milano. Per il resto si tratta di negozietti, piccoli, ma ricchi di cianfrusaglie, come quello dei venditori di cuoiami Angelo, Giuseppe e Antonio Palmieri. Se la vivacchiavano meglio sicuramente gli speziali manuali Salvatore Milano e Alfonso Sibilia. Un po' meno i sarti Giovanni Ronca e Carlo Ricca. Era di mestiere pittore di stanze Carmine Antonio D'Urso, mentre venditori di vino ufficiali risultano Amatonicola Angelone e Benedetto D'Andrea e negoziante di legnami Giuseppe Verderosa e negoziante di tessuti, Alfonso Formato e lo stesso Amatonicola Angelone. Per barba e capelli c'era la scelta fra Alfonso Cantabene e Giosa D'Urso, come per i calzolai che risultano essere Antonio Alifano, Alfonso Formato e Michele Nittoli. Chi aveva intenzione di farsi una casa poteva rivolgersi a ben due capimastro muratori, Francesco Giorgio e Domenico Di Piano. Seguono il carradore Nicola Albanese, i fabbricanti di mobili Aniello Infante e Pietro Rullo, il fabbricante di mattoni Carmine Pastore, la fiuttaiuola Lucia Soriano, l'ebanista Leopoldo D'Andrea. Vi sono poi i poveri calzolai Antonio Alifano, Alfonso Formato e Michele Nittoli e i fabbri ferrai Carmine, Pasquale, Amatonicola e Giuseppe Santoro. Sempre aperto il forno coi panettieri Concettina Verderosa e Michele Sciarrillo, grazie ai mugnai Francesco e Luigi Quagliariello, mentre la carne di capra era una specialità dei beccai Pasquale Guerriero e Giuseppe Verderosa. L'arte della falegnameria era mestiere di Pietro Rullo e Bonifacio Borriello, quella del sensale di Achille Gattone e Gerardo Risi. Si distinguevano Salvatore D'Amelio ed Angelo Perrone, i cui ottimi cheese and butter (formaggi e burro) avevano oltrepassato il confine. Erano infatti diventate due aziende leader nella produzione irpina di formaggi e latticini. Fra i notabili: l'avvocato Nicola Sepe, seguito dall'avvocato Nicola Grassi fu Filippo (1861-65 e 1866-67), dall'ingegnr Federico Roca (1864-75), dal dottor Giuseppe Palmieri (dimissionario nel 1865), dal cavalier Raffaele D'Amelio (1867-80 e 1881), dal commendator Bernardo Natale (1875-80), dal cavalier Francesco Ricciardi (1880-85), dal marchese Camillo Caracciolo di Bella (1885-1888 defunto), dal cavalier Federico Criscuoli (1888 e passa) e dal cavalier Giulio D'Andrea (1889 e passa). Tutto questo quando il vicino mandamento di Teora eleggeva Nicola Miele (1861-63), il notaio Angelopio De Guglielmis (1863-67), il cavalier Saverio Corona (1867-95) e (1895) e il cavalier Fabrizio Laviano (1895). Cosa inusuale per un piccolo paese che non possedeva neppure una frazione. Si tratta di Salvatore D'Andrea fu Angelo, farmacista; di Virgilio Lettieri fu Antonio, industriante; di Pasquale Perna di Francesco, farmacista; Gennaro Perrone fu Antonio, industriante; Giuseppe Salzarulo fu Giovanni, industriante; Pietro Santoro di Teodoro, farmacista. Eppure non trascorreranno che cinque anni quando risultano fra gli uomini più in vista decine di persone, fra cui il sindaco notar Angelo Maria Perna, il segretario comunale Alfonso Perna e l'esattore delle tasse Francesco D'Amato. Ma anche gli assessori avevano il loro peso politico ed economico, in quel 1889, quando a Lioni, che contava 5145 abitanti, erano stati prescelti Epifanio Ronca, Alessandro D'Amelio, Amato Angelone e Francesco Bianchi.
Civitate Tremiti. Città scomparse del Medioevo: la città di Termoli prima di Termoli, sede di Contea di Roberto Loritello con l'Isola Vaticana del Pantano, da Sant'Agata al Rio Triolo di Lucera
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 170
Scoprire una città antica nel perimetro della propria: è quanto accadde a Termoli odierna che comprese l'antica Civitate Tremiti. Questo libro ripercorre la storia antica, con i luoghi scomparsi e quelli ancora riconoscibili, dall'entroterra alla riva. L'antica Termoli, Porto della Capitanata, è identificata presso l'Isola del Pantano, o Pentano che dir si voglia, alla foce del fiume Biferno, spostamenti tellurici permettendo. I suoi luoghi del 1200 sono Porta Mare, Porto Basso di Castello al Tempio, da S.Martino al Petrale, Cupello, Insula Pantani e Meleta del Biferno, Vallone di Civitate, olim Tremiti, S.Chirico e s.Giovanni, Acquaviva, Monte Antico, Petrara, Vallone delle coste e rivo Sinarca. Riuniti gli illustri dell'epoca, insieme ai periti, prima del 1250 si ebbe il censimento per «Termulis» dei primi beni tassati ai templari. A stilarlo furono il iudex Georgius, notarius Stephanus, Iohannes de Eustasio, iudex Pascasius, notarius Ugo, Angelus Tascarolus, iudex Soticus, Stephanus de Mauro, Roggerius Rufulus, Leonardus de Madio, Eustasius de Madio, Roggerius de Guisinolfo, Iohannes de magistro Alferio, Conradus de Barnabeo, Rogerius de magistro Landulfo, Grimaldus Bos Guerrasius, Christianus Algerius, Iohannes Cantassus, magister Iohannes Symon de Robberto, Iohannes Notulus Simbardus de iudice Ioanne Damianus.40 Tufara era infatti conosciuta per un'acqua particolare, quella della Fontana presso l'orto della Chiesa del Santo Santissimo, a seguire Loco Bassani. Nel suo territorio ricadevano i testimoni che dichiararono i beni posseduti dall'Imperatore presso Termoli erano rappresentati da diversi possedimenti. Una terra era accosto alla fonte di Enrico di Vacca sita al Pantano, unitamente ad altre case che furono di Guerrero, Ugono del Casale e di altri. Sempre in quella parte della Capitanata che oggi ricade in Molise, v'erano i luoghi di S.Croce in Colle, S.Giovanni e Chianca su via Morcone con Plano Olmi, Stampacio a Morcone, e a Piede della Terra. C'era il luogo di Retro palacia, finit cum vicenda Raonis Alamanni, alia est ad Plancam iuxta vicendam domini Girardi, alia est ad Pinisios iuxta terram Raonis Alamanni, in Plano Ulmi, ad Stampacios iuxta vineam Morconis seminatur ad decimam, in Pede ipsius Terre. E' la S.Croce nata sulla Via di Morcone, dove era la vigna di Stampacio, altri beni erano a Piedi Terra di S.Croce. Essi pagavano il dazio imperiale a Pasqua con un tortano, e uno a S.Maria, mentre a Natale gli toccava la spalla di porco. Altri pagavano con polli e vino. Segue l'elenco degli abitanti di S.Croce a cominciare da Giovanni Boianense. Lasciamo ora l'ultimo spicchio di Tufara, per tornare verso il fiume Fortore con Vecticare iuxta flumen Fortorem, ad Collem Vertulum, ad Collem Crescenti, ad Petras Siccasa vicendam unam iuxta terram RobbertideNubilione... Item in via Sancti Angeli, ad Fontem de Salice. Altri beni sono in flumine Tyberonis, valet per annum auri unciam unam. I beni di Tufara fino a Pesclum Gualdonis, ad locum Moraldia, valet in oleo coppam unam. Ed eccoci giunti ai Casali di Termoli. Essi erano quelli vicino alla Chiesa di S.Anastasia à Mare, ai Baroncelli, e presso i beni di Ugone de Florentino, proprio nel suburbio termolese. Altre case erano presso i beni di sire Leone, Giovanni Sarraceno, il palazzo di Domino Goffredo, Ursone Porco, tutte censite. C'erano le vigne a Rivo Buio, alla Croce da Ursone Bove, quelle di Roberto Liadosi, Giovanni Cito e Nicola Russo, vicino a quelle di Matteo dell'Isola, a Cava Mare presso Goffredo, alla Macchia, dove stava Bartolomeo Vassallo, in Asinarclo a Marcum e S.Maria, al Piano presso Monachini, alla Fonte di Schiava, vicino a Tondini di Aversa. Il testo contiene anche una interessante appendice sui Molisio, imparentati con i discendenti dal console Ruggiero II dell'Aquila, perché la figlia Emma sposò Maccabeo del Monte Cavoso del S.Angelo e diede origine alla stirpe molisana, nonché alla fondazione di un'altra città chiamata Civitate...
Napoletani di Broadway: il teatro di Napoli nella New York del ‘900, il conservatorio, l'America...
Antonio Polidoro
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 80
Alla fine dell'Ottocento risale la nascita del musical, ormai una vera e propria forma musicale-teatrale che mette insieme musica, recitazione, canzoni (destinate il più delle volte ad avere vita propria), azioni coreografiche, brani strumentali e corali, tutti i linguaggi che concorrono a raccontare una vicenda che affonda le sue radici nella società americana o che sia il frutto di una trasposizione (in libertà, molto in libertà) di soggetti classici. Tra i primi grandi successi Show Boat di J. Kern del 1927 e My Fair Lady del 1956, "liberamente" tratto da Pygmalion di G.B.Shaw. In tempi più recenti si ricorda quell'autentico capolavoro di Leonard Bernstein, grandissimo direttore, straordinario pianista e compositore di fresca ed originale cifra, quel West Syde Story che è uno scrigno di momenti che hanno vissuto di luce propria come la splendida Maria, interpretata dai mostri sacri della canzone e Tonight. Dagli anni venti in poi stelle di prima grandezza, come I. Berlin, C. Porter, R. Rodgers e lo stesso Gershwin portarono nel musical il valore aggiunto di raffinatissimi arrangiamenti Jazz. La strada di Broadway, lunga e obliqua, che tagliava in due l'isola di Manhattan, ospitava i luoghi deputati del teatro e della musica, teatri che sfornavano spettacolo su spettacolo e che davano lavoro a migliaia di musicisti, cantanti, addetti tecnici e che facevano fiorire un impresariato capace di innovazioni di originali in grado di tenere desto l'interesse del pubblico. Ma su questo tipo di emigrazione della canzone giovani studiosi di talento hanno prodotto studi di impeccabile esaustività. Era fiorente anche l'industria discografica, che aveva raggiunto livelli tecnici in grado di produrre rapidamente e in modo sempre più fedele. Per la verità anche Napoli si distinse per una pronta risposta ai nuovi sistemi di riproduzioni. Nacquero le prime Case discografiche che durarono a lungo, almeno fino all'agonia del vinile. I nostri cantanti, avvezzi a lavorare nei locali e nei piccoli teatri della zona del porto o nel cuore della città si trovarono di fronte ad una realtà che era andata avanti più velocemente. Molti di loro venivano invitati, già negli anni trenta, ad esibirsi nel corso di trasmissioni radiofoniche nelle tante emittenti private già attive da tempo. I meno fortunati, eredi della posteggia, un'attività per nulla marginale che univa la canzone ai momenti conviviali nei ristoranti napoletani, si esibivano nei locali di Little Italy e in tutte le zone in cui risiedevano gli italo - americani. Una ricchezza di locali che offrivano musica napoletana negli anni trenta e quaranta si segnala nel New Jersey, Newark, Trenton e, soprattutto Paterson, città nella quale migliaia di irpini avevano trovato lavoro nelle fiorenti industrie tessili. Con i fratelli Amerigo ed Alfredo Bascetta, che si distinguevano per un discreto grado di scolarizzazione e per una predisposizione all'azione politica, giunsero in America a bordo di grandi e sempre più veloci bastimenti i grandi nomi della canzone napoletana, personaggi che non correvano rischi, avendo raggiunto gli States in forza di precisi accordi tra impresari. Diversa la situazione di chi aveva corso il rischio di tentare… Migranti della musica, questi ultimi temerari, più che artisti in tournée. Giunsero a New York, tra i tanti altri grandi nomi (diversa e lontana da questo tipo di "presenze" il caso di Enrico Caruso, una vera e propria star internazionale), il tenore Vittorio Parisi che aveva consacrato ad un successo che ancor oggi resiste e suscita più di un'emozione un piccolo capolavoro come Quanno tramonta 'o sole. Parisi, classe 1892, come spesso accade, deve ad una improvvisa sostituzione la sua fortuna nel mondo della canzone (era già felicemente attivo nella lirica!).
Montemarano e Monte Mariano di Boiano. I discendenti dei Liguri Bebiani di Cerreto migrati con San Giovanni nei feudi dei Gesualdo in Irpinia ex Principato Ultra e divenuti irpini
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 180
I quasi 3.000 montemaranesi mandavano nei banchi 187 alunni dislocati nelle 5 scuole elementari sotto la guida degli insegnanti dei quali non conosciamo i nomi, tranne che di un insegnante privato, Felice Gambale, con 27 figli di papà. Da notare che il paese, col titolo di antica Città, aveva anche la pretura in loco con Luigi De Giorgio come giudice e Francesco De Feo per cancelliere; Luigi De Feo era l'usciere. Nella schiera dei professionisti laureati figuravano - oltre il dottor Michele Fusco, medico chirurgo condottato, e la levatrice condottata Cristina Fusco - l'agrimensore (perito agrario) Celestino De Sipio; gli avvocati Vincenzo e Giovanni Gambale; il farmacista Mariano Forte e il chirurgo Filippo Follo. Non ritrovando più tutta la sfilza degli industrianti di qualche anno prima, né riuscendoci a spiegare il perché di tale assenze - se non per emigrazione - a distanza di soli due lustri, a rappresentare la classe intermedia erano rimasti l'armaiuolo Luigi Chiancone, i mediatori Nunzio Mangiella e Giuseppe De Lisio, i negozianti di tessuti Generoso Todina e Raffaele Farese. Dai barbieri Giovanni Secca e Giovanni D'Agnese ritorniano ai calzolai Sabino Marcella e Achille e Domenico D'Agnese. Non da meno le famiglie degli altri lavoratori autorizzati come Teodoro Iannuzzi che faceva il capomastro muratore, Achille D'Agnese il panettiere, Antonio Di Napoli il fabbro ferraio, Giovanni Gallo e Leonardo Discepolo i falegnami, Generoso D'Agnese e Angelo Gambale i beccai. Non possiamo qui dimenticare i pirotecnici che, in nome della tradizione, diventano due: Errico Secca e Giovanni Giammarino. Un altro Secca, Alfonso, faceva il sarto come Giovanni Santoro. Tutti gli altri abitanti di Montemarano, per la maggior parte, si dedicavano alla campagna e soprattutto ai vitigni. Vale la pena di ricordare che un buon fiaschetto, chi proprio vino non ne produceva o era forestiero, lo si poteva trovare da Pasquale Nigro, Alfonso Gallo e Generoso Lombardi che, apposta, facevano i vinai. Un buon bicchiere di vino di cantina prima di una bella fumata di tabacco comprato da Giovanni e Ferdinando Gallo o da donna Concettina Gambale.
Arbereshe, padre Leonardo De Martino (il san Francesco Irpino di Greci di Avellino)
Virgilio Iandiorio, Leonardo De Martino
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 164
Leonardo da Greci è l'arpa che suona albanese. Nel Bollettino Ufficiale della Regione Campania veniva pubblicata, alcuni anni fa, la legge regionale n. 14/2004 a favore della minoranza alloglotta e del patrimonio storico, culturale e folcloristico della Comunità albanofona del Comune di Greci in Provincia di Avellino. Ha rappresentato un passo avanti rispetto alla situazione precedente. L'art. 1 della legge recita: "La Regione Campania tutela il patrimonio linguistico, storico e culturale della comunità albanofona del comune di Greci". Tutela, però, è un termine giuridico che significa difesa, protezione di un minorenne (vero è che in senso lato equivale a difesa, protezione). Ma in che modo si può tutelare la comunità arbëreshë di Greci? Questo è il problema. Non si tratta, certamente, come per la tutela dell'ambiente, creare un'oasi protetta. E occorre fare attenzione anche all'uso del termine "identità". Perché alla domanda "che cosa?", "che cosa sei?", quale che sia la risposta (bianco, nero, giallo, cristiano, musulmano), questa non può che dare adito a gerarchie, a distinzioni che, se non sono superflue, possono risultare pericolose, addirittura. La focalizzazione sul "che cosa?" costruisce gerarchie. Se ci poniamo la domanda "chi sei? ", l'attenzione viene positivamente spostata sulla persona. E nel nostro caso, volendo quasi personificare il paese, se ci chiediamo "chi è Greci?" e non "che cosa è Greci", eviteremo di costruire una gerarchia, tra un loro (da tutelare) e un noi (con la funzione di tutore). Il libro di Leonardo De Martino, che si cerca di illustrare, è la narrazione di "un'identità che possiamo definire relazionale", che si dà solo nella "relazione con l'altro/con l'altra". Iandiorio dice "si cerca di illustrare" senza falsa modestia, perché la non conoscenza della lingua albanese limita di molto la ricerca e la riflessione sul testo in lingua. Mentre per la prima parte, quella in italiano, il compito è più agevole. Per la seconda parte, quella in lingua albanese, l'autore si è limitato all'aspetto generale dei temi affrontati dal poeta, alla scelta dei componimenti italiani tradotti in albanese, da cui traspaiono la formazione religiosa e gli interessi culturali di Padre Leonardo in un libro che vale la pena di leggere per chi vuole masticare il profumo di ambiente antico.
Abecedario di Montemiletto (Avellino). Genealogia e toponomastica del Castrum ex Abbazia di San Pietro del Monte Aperto
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 180
È vero. Nelle altre parti d'Italia i beni venivano valutati dal fisco, mentre nel Regno di Napoli si procedette su dichiarazioni di parte, con tutti gli inconvenienti (dichiarazioni orali con rivele fasulle, diminuzione della consistenza dei propri beni, negazione addirittura di possederne) che tale sistema comportava. I catasti comunali, teoricamente, avrebbero dovuto servire alle amministrazioni locali per una equa tassazione, che, al contrario, molto spesso veniva fatta gravare artificiosamente addirittura sui meno abbienti. Era necessario per ovviare a questi veri e propri soprusi che i dichiaranti indicassero tutti i beni stabili, le entrate annue di ciascun cittadino e dei conviventi. I nobili dovevano rivelare i beni posseduti nella propria terra e anche quelli in cui abitano con la famiglia e con i congiunti, facendone una breve, chiara e distinta sintesi sul margine della rivela (autodenuncia). Fine del Catasto Onciario era quello che il povero non fosse sottoposto a tasse esorbitanti e che il ricco pagasse secondo i suoi reali possedimenti. In base a questo principio i sudditi vengono tassati non solo per il possesso dei beni immobili, ma anche singolarmente per le industrie che possiedono, commercio, mestiere o arte che esercitano. Dunque, oltre all'imposta patrimoniale, restava in vigore anche la vecchia imposta personale. Infatti il focatico, l'imposta del nucleo familiare dovuto da ogni focolare, venne sostituito dal testatico, l'imposta pro capite a quota fissa, pagato da tutti coloro che non vivevano nobilmente, cioè solo da coloro che si dedicavano al lavoro manuale. Un'indagine investigativa condotta su cittadini, congiunti e conviventi, attraverso una breve, chiara e distinta sintesi sui beni immobili, e sull'attività esercitata, sulle tasse - com'è stato scritto - caratteristiche che non escludono la vivezza della enunciazione formale e la passionalità del piglio giornalistico, ogni volta che occorra, per annodare e poi snodare un sistema complesso, articolato, che appare ripetitivo e impossibile a studiarsi, che fornisce dati quasi mai letti e trascritti prima, per portare a conoscenza di noi un atro pezzo di storia mai scritta, senza entrare nel merito di punti problematici, come nello stile delle pubblicazioni promosse da questa amministrazione. Il programma della ABE, con la pubblicazione sul Catasto di Montemiletto e Montaperto, e di tanti altri volumi, ci fa entrare sempre di più nella storia di tasse e balzelli, fornendoci un lunghissimo elenco dei residenti di ogni singolo paese, dei nostri e di quelli a noi vicini. Questo aiuta i cittadini di oggi a scoprire i nomi, i mestieri e le arti dei propri antenati: l'albero genealogico di tre secoli fa! Il merito va soprattutto ad Arturo Bascetta, che si è sobbarcato, con perizia e volentieri, l'immane lavoro di una collana aperta a più collaboratori, come già abbiamo visto per i volumi pubblicati. È la meravigliosa documentazione del Catasto Onciario portata alla conoscenza diretta degli eredi di quei nonni. Interventi, studi e note di chi, con proprie capacità, intelligenza e amore per la storia locale, ha messo su carta la vera riscoperta essenziale delle radici e della storia. Che è poi la strada percorsa in questi anni da chi, come noi, ama la memoria storica di Montemiletto e del Principato Ultra. Florindo Garofalo Presidente Pro Loco «Mons Militum»