ABE
Arbereshe, padre Leonardo De Martino (il san Francesco Irpino di Greci di Avellino)
Virgilio Iandiorio, Leonardo De Martino
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 164
Leonardo da Greci è l'arpa che suona albanese. Nel Bollettino Ufficiale della Regione Campania veniva pubblicata, alcuni anni fa, la legge regionale n. 14/2004 a favore della minoranza alloglotta e del patrimonio storico, culturale e folcloristico della Comunità albanofona del Comune di Greci in Provincia di Avellino. Ha rappresentato un passo avanti rispetto alla situazione precedente. L'art. 1 della legge recita: "La Regione Campania tutela il patrimonio linguistico, storico e culturale della comunità albanofona del comune di Greci". Tutela, però, è un termine giuridico che significa difesa, protezione di un minorenne (vero è che in senso lato equivale a difesa, protezione). Ma in che modo si può tutelare la comunità arbëreshë di Greci? Questo è il problema. Non si tratta, certamente, come per la tutela dell'ambiente, creare un'oasi protetta. E occorre fare attenzione anche all'uso del termine "identità". Perché alla domanda "che cosa?", "che cosa sei?", quale che sia la risposta (bianco, nero, giallo, cristiano, musulmano), questa non può che dare adito a gerarchie, a distinzioni che, se non sono superflue, possono risultare pericolose, addirittura. La focalizzazione sul "che cosa?" costruisce gerarchie. Se ci poniamo la domanda "chi sei? ", l'attenzione viene positivamente spostata sulla persona. E nel nostro caso, volendo quasi personificare il paese, se ci chiediamo "chi è Greci?" e non "che cosa è Greci", eviteremo di costruire una gerarchia, tra un loro (da tutelare) e un noi (con la funzione di tutore). Il libro di Leonardo De Martino, che si cerca di illustrare, è la narrazione di "un'identità che possiamo definire relazionale", che si dà solo nella "relazione con l'altro/con l'altra". Iandiorio dice "si cerca di illustrare" senza falsa modestia, perché la non conoscenza della lingua albanese limita di molto la ricerca e la riflessione sul testo in lingua. Mentre per la prima parte, quella in italiano, il compito è più agevole. Per la seconda parte, quella in lingua albanese, l'autore si è limitato all'aspetto generale dei temi affrontati dal poeta, alla scelta dei componimenti italiani tradotti in albanese, da cui traspaiono la formazione religiosa e gli interessi culturali di Padre Leonardo in un libro che vale la pena di leggere per chi vuole masticare il profumo di ambiente antico.
Abecedario di Montemiletto (Avellino). Genealogia e toponomastica del Castrum ex Abbazia di San Pietro del Monte Aperto
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 180
È vero. Nelle altre parti d'Italia i beni venivano valutati dal fisco, mentre nel Regno di Napoli si procedette su dichiarazioni di parte, con tutti gli inconvenienti (dichiarazioni orali con rivele fasulle, diminuzione della consistenza dei propri beni, negazione addirittura di possederne) che tale sistema comportava. I catasti comunali, teoricamente, avrebbero dovuto servire alle amministrazioni locali per una equa tassazione, che, al contrario, molto spesso veniva fatta gravare artificiosamente addirittura sui meno abbienti. Era necessario per ovviare a questi veri e propri soprusi che i dichiaranti indicassero tutti i beni stabili, le entrate annue di ciascun cittadino e dei conviventi. I nobili dovevano rivelare i beni posseduti nella propria terra e anche quelli in cui abitano con la famiglia e con i congiunti, facendone una breve, chiara e distinta sintesi sul margine della rivela (autodenuncia). Fine del Catasto Onciario era quello che il povero non fosse sottoposto a tasse esorbitanti e che il ricco pagasse secondo i suoi reali possedimenti. In base a questo principio i sudditi vengono tassati non solo per il possesso dei beni immobili, ma anche singolarmente per le industrie che possiedono, commercio, mestiere o arte che esercitano. Dunque, oltre all'imposta patrimoniale, restava in vigore anche la vecchia imposta personale. Infatti il focatico, l'imposta del nucleo familiare dovuto da ogni focolare, venne sostituito dal testatico, l'imposta pro capite a quota fissa, pagato da tutti coloro che non vivevano nobilmente, cioè solo da coloro che si dedicavano al lavoro manuale. Un'indagine investigativa condotta su cittadini, congiunti e conviventi, attraverso una breve, chiara e distinta sintesi sui beni immobili, e sull'attività esercitata, sulle tasse - com'è stato scritto - caratteristiche che non escludono la vivezza della enunciazione formale e la passionalità del piglio giornalistico, ogni volta che occorra, per annodare e poi snodare un sistema complesso, articolato, che appare ripetitivo e impossibile a studiarsi, che fornisce dati quasi mai letti e trascritti prima, per portare a conoscenza di noi un atro pezzo di storia mai scritta, senza entrare nel merito di punti problematici, come nello stile delle pubblicazioni promosse da questa amministrazione. Il programma della ABE, con la pubblicazione sul Catasto di Montemiletto e Montaperto, e di tanti altri volumi, ci fa entrare sempre di più nella storia di tasse e balzelli, fornendoci un lunghissimo elenco dei residenti di ogni singolo paese, dei nostri e di quelli a noi vicini. Questo aiuta i cittadini di oggi a scoprire i nomi, i mestieri e le arti dei propri antenati: l'albero genealogico di tre secoli fa! Il merito va soprattutto ad Arturo Bascetta, che si è sobbarcato, con perizia e volentieri, l'immane lavoro di una collana aperta a più collaboratori, come già abbiamo visto per i volumi pubblicati. È la meravigliosa documentazione del Catasto Onciario portata alla conoscenza diretta degli eredi di quei nonni. Interventi, studi e note di chi, con proprie capacità, intelligenza e amore per la storia locale, ha messo su carta la vera riscoperta essenziale delle radici e della storia. Che è poi la strada percorsa in questi anni da chi, come noi, ama la memoria storica di Montemiletto e del Principato Ultra. Florindo Garofalo Presidente Pro Loco «Mons Militum»
Delitti e processi nel secolo dei lumi: tenebrosi casi di varia criminalità nelle terre di papa e re. Eliseo Danza e altri. Volume Vol. 2
Virgilio Iandiorio
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 188
Questo libro nasce dalla lettura dell'opera di un romanziere polacco, Jan Potocki, vissuto nella seconda metà del XVIII secolo e i primi anni di quello successivo. Il Manoscritto trovato a Saragozza è il titolo del romanzo, in cui vengono narrate tante storie, distribuite in sessantasei giornate, da personaggi che vengono a contatto con il protagonista del romanzo, Alfonso van Worden, capitano delle Guardie Valloni. Ecco la disquisizione di Eliseo Danza: Indice degli argomenti: a) La città di Benevento è da considerarsi extra Regnum? b) Un istrumento rogato extra Regnum, può essere esibito e avere piena validità nel Regno? c) Che cosa si richieda perché un istrumento rogato extra Regnum possa essere valido nel Regno (17). Di seguito l' abstract degli argomenti. 1) Se la città di Benevento sia extra Regnum. 2) la città di Benevento fu donata alla Chiesa da Carlo Magno. 3) La città di Benevento fu conquistata da Roberto il Guiscardo e riconquistata dal pontefice Leone IX. La città di Benevento è sottoposta alla Sede Apostolica. 4) Elogio di Benevento e sua nobiltà. 5) per quanto la città di Benevento sia extra Regnum, essa ricade nel territorio del Regno. 6) Se la città di Benevento è soggetta al potere giudiziario che proibisce l'estradizione nel Regno. 7) Se l'istrumento rogato extra Regnum, possa essere esibito nel Regno. 8) La motivazione. 9) L'strumento redatto extra Regnum può essere esibito nel regno quando non ci siano opposizioni. 10) Se il Notaio istituito nel Regno, redige un istrumento, questo ha valore extra Regnum? 11) Un istrumento rogato extra Regnum, per avere la stessa efficacia nel Regno, deve essere contrassegnato dalle firme di altri tre notai. 12) Un istrumento stipulato extra Regnum ha validità nel Regno se è corredato dalle lettere di testimoni o della comunità del luogo in cui viene stipulato. 13) Come debbono essere le lettere testimoniali. 14) se un istrumento rogato extra Regnum senza lettere testimoniali, può essere comprovato da testimoni. 15) In che modo i testimoni depongono su questi requisiti. 16) L'ufficio del Notariato non discende per via naturale, ma dalle competenze. 17) Non si suppone che una vedova sia tale, se non viene comprovato. 18) Una vergine si suppone che lo sia, perché la sua peculiarità è naturale. 19) La povertà è naturale e si presuppone. 20) Se un mandato, o una procura, fatto extra Regnum abbia validità nel Regno. 21) Un testamento redatto extra Regnum, se ha validità nel Regno e in che modo vada letto. 22) Se i contraenti non riconoscono il Notaio, il Notaio deve provare il titolo. 23) Se i contraenti negano che l'istrumento sia stato scritto dalla mano del Notaio, si richiede un altro riscontro e quale riscontro. v.i.
Orsara in Irpinia e Daunia. Il feudo di s. Angelo a Vico Acquidio di Contra dei Lombardi del 1093 e la Domus dei Calatrava confuso dagli storici con Trevico irpino
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 158
Orsara è la Porta dell'Irpinia e della Daunia, le nuove province concepite nel 1861, ma prima di allora fu scelta a sede della più importante abbazia altomedievale dell'ordine di Calatrava. Fondata dai Lombardi di Orsara, la S.Angelo diede vita al borgo che sta per compiere i Mille anni di storia, dai primi Lombardi che lo abitarono, ai tanti commercianti del 1800. In primis vi erano le conosciutissime albergatrici, Filomena Ungaro e Vittoria Campagna che si differenziavano dai baristi dell'epoca, diremmo quelli che facevano solo il caffé, i caffettieri Giovanni Campanella, Vincenzo Fresini, Francesco Paolo Curcio e Giuseppe Cappiello fu Domenico; così da Domenico Toriello che produceva e negoziava solo olii. Così come non avevano stanze per dormire ma solo per mangiare i trattori Lorenzo Martino, Michele Chiariello e Anchille Laurino, e i bettolieri col buon vino: Carmelo Tramonte, Giuseppe De Angelis, Michele Manna, Michele Di Binari, Pasquale Terlizzi, Pietro di Foggia, Felice Baia. C'era in paese anche l'armeria di Carmine e Vincenzo Simonelli, esperti armaiuli, a differenza di Francescopaolo Cappiello di Giuseppe industriante che aveva più che altro un bazar e di Generoso Campanile tutto dedito alla preparazione delle cantine, in quanto bottaio certificato. Difficile a credersi ma c'era anche un cartolaio, Gaetano Liguori, mentre si allungava la nutrita schiera dei barbieri Pietro De Felice, Leonardo Buonocore (se è fu Giuseppe nel 1884 faceva il pizzicagnolo, come Francesco Mastropieri fu Domenico), Costantino Acquaviva, Antonio Pellegrino; e dei calzolai Francesco Paolo e Nicola Valentino, Leonardo Frisoli, Ferdinando Campanella, Pasquale Accettullo, e lo scomparso Ferdinando Cericola fu Vincenzo vivente nel 1884, come pure Gaetano Finamore fu Leonardo calzolaio e mugnaio. Per costruire case ci pensavano i capomastri muratori Michele Bolsa e Gaetano Buonassisi fu Domenico, con i carpentieri Mattia Stefanelli e Antonio Cipriani, non prima di essersi forniti del necessario presso la fabbrica di mattoni di Carmine Fragassi, di Giovanni Mastroprieri o di Nicola e Paolo Clementi; e per fabbricare stoffe ci pensavano Lorenzo Poppa e Concetta Robusto. Fabbri ferrai sotto la protezione di Santa Barbara erano Vincenzo Buonassisi, Biase Buonassisi, Pasquale e Donato Martino, Nicola e Giuseppe Cibelli fu Fedele, in precedenza Donato Cericola fu Michele; falegnami erano Filippo Moscatelli, Francesco Tavolarella, Vincenzo e Gaetano Languzzi/Languezzi fu Pasquale, che avevano preso il posto di Pasquale Accettullo fu Pasquale che non era fratello a Pasquale Accettullo fu domenico, calzolaio. A mezzogiorno in punto però il paese si fermava e tutti correvano a fare colazione, difficilemente a casa e spesso con un pranzo fugace avvolto nella 'mappatella' nelle ceste, o nel grembiule che usciva dalle lunghe vesti delle donne, quando si recavano dai braccianti, o dai giornalieri al servizio nei poderi. Pane profumato fatto in casa, con la farina prodotta in campagna o comprata dai mugnai fratelli De Stefano, Covino e Gaetano Liguori fu Pasquale esercente il mulino a vapore, oppure da Antonio Ferrara, Antonio Pignatiello, Vincenzo Lecce, Battista Terlizzi, Raffaele del Lanno, Leonardo Martino. Il pane, anche quello sfornato dai panettieri Antonio Gabriele, Antonio Giuliano o Michele Fiore, era alla base del povero pranzo dei comuni mortali che non potevano permettersi di acquistare la carne dai beccai Leonardo Del Vecchio, Lorenzo e Francesco Frisoli. Alle mediazioni ci pensavano i sensali Donato e Leonardo Frisoli, Domenico Selvaggio, Giuseppe Branca e Michele Palazzo. Altro genere di negozianti erano quelli in tessuti: Giuseppe Cericola (fu Vincenzo, mercianio), Domenico Toriello, Clemente Cinque fu Fedele (ex negoziante di cereali e merciaio), Pasquale Campagna e Tommaso Covino (fu Angelo, merciaio)...
Una mamma per regina. Ferdinando III marchesino di Bisceglie e Isabella del Balzo da Venosa
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 154
Il giovane Vicerè Fernando d'Aragona, figlio di Federico III di Napoli e Donna Sabella del Balzo, era stato vittima dello scontro fra Spagnoli e Francesi per il predominio del Sud. Dopo il successo del Gran Capitano Cordova, tradotto anch'egli prigioniero a Valencia (1503), fu confinato nel Castello di Xàtiva, vedendo decaduti tutti i suoi titoli, da quello di Marchese di Bisceglie a quello di Viceré del Regno di Sicilia. La Reggia di Valencia era fra le più lussuose di Spagna, già ammirata dal tedesco Jerome Münze durante la sua visita del 1494, per la bellezza dei giardini e del palazzo con una miriade di stanze, poi modificate in meglio per la presenza stabile dell'ex Corte napoletana. Questi parenti, anche se non ebbero una grande influenza sulla Corte, rappresentarono, con il loro lignaggio e i loro costumi, la forte influenza straniera di matrice rinascimentale. Poco dopo il matrimonio a Segovia con la Regina Isabella del Portogallo (figlia di Maria e quindi nipote del fu Re Ferdinando di Spagna), nel 1523, l'Imperatore Carlo V liberò Fernando III dalla vicina prigione di Xativa e, nel concedergli la mano della matrigna Germana, lo elevò a Vicerè in Valencia. Il 28 novembre del 1526 Fernando di Napoli entrò in città da Porta San Vicente verso la Cattedrale, dove giurò solennemente per il suo ufficio. Per l'occasione vi sarebbe giunta anche la mamma Isabella, la quale, dopo l'esilio in Francia e la morte del marito a Tours, trascorse il resto della sua vita a Blois. Con l'ex Regina di Napoli giunsero a Valencia le infanti Julia e Isabella, Marcia Falconi (che aveva allevato il Duca e i suoi fratelli), Beatrice de Rufelli, Giovanna Calva, Giovannella di Penya e altre dame che l'avevano servita nel Palazzo di Blois dopo la morte del marito Federico I. Con due prestigiosi e colti Sovrani come la Viceregina Germana di Foix e suo marito, il Palazzo Reale di Valencia divenne il centro nevralgico del Regno, ma non mancarono le polemiche verso Germana, ricordata per la dura repressione dei Germanias ai tempi del Cattolico. Ricominciava qui, esiliato dal mondo, la vita del Marchesino di Bisceglie che aveva seguito la madre Regina Isabella del Balzo durante il suo lungo viaggio per l'incoronazione, da Barletta a Napoli. Fu lui l'ultimo blasonato della casata d'Aragona di Napoli, Ferdinando III, fatto fuori dallo zio Cattolico e dai Francesi, con la divione in due del Regno di Napoli. Fu proprio lui che tentò il colpo finale sposando la vedova dello Zio Cattolico, la Regina Germana, nella speranza di essere reintegrato presto nel suo Regno di Napoli, proprio quello che più non vide.
Ludovico I D'Angiò, l'erede al trono che lasciò la corona: Napoli angioina in ostaggio dei catalani
Sabato Cuttrera
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 132
1. FIGLIO A CARLO I E A MARIA D'UNGHERIA - Re Carlo I d'Angiò: il nonno «Carlotto» - Maria degli Arpad: la madre - Carlo II Principe detto lo Zoppo: il padre - Luigi I Duca Durazzo; lo zio scomparso dalle carte - Nato nel Palazzo della Corte di Nocera o Lucera? 2. NATO NEL CASTELLO DI «NUCERA» - Carlo, Luigi, Roberto e Filippo: tutti figli nocerini - I Principini fra le mura di una Nocera - Con la madre in Provenza dal 1282 - Il padre prigioniero perde isole e flotta - La madre libera gli Svevi: lo scambio fallisce - Il nemico libera il Re, ma con Luigi ostaggio 3. ALL'INCORONAZIONE DEI GENITORI - Nel reame senza sovrani alla morte del nonno - Carlo è libero, i figli restano prigionieri - Incoronazione a Rieti, viaggio in Assisi - Nocera e Salerno passano a Carlomartello 4. L'EREDE UNIVERSALE DI 4 REGNI - Carlomartello Re d'Ungheria: il primogenito - Luigi erede d'Ungheria prima di Caroberto - Il Papa fa tosare Luigi alla presenza dei due Re - Carlo il Senzaterra fu Re Carlo II? - Niente porpora, sì ai frati: la rinuncia al reame - Trattato d'Anagni: regno a Roberto, via Luigi - L'ex Principe era erede universale dal 1295 - Il frate possessore della Madonna di S.Luca 5. ROBERTO PREDESTINATO DAI CATALANI - La liberazione e i nuovi equilibri: Pace di Anagni - A Giacomo solo le isole, ma erede sarà il genero - Carlo è libero se si ritira il primogenito vivente - I sogni di Luigi ceduti al suocero di Roberto - Luigi, vescovo improvviso a soli 21 anni - L'arrivo a Tolosa: la cattedra vescovile - La rinuncia al titolo e la morte a Brignoles 6. SANTIFICAZIONE E DIFFUSIONE DEL CULTO - Il testamento dei poveri: libri ai frati - L'elevazione a santo decisa dal padre - Le reliquie distribuite dalla madre - La traslazione e il reliquiario napoletano - La ricompensa di Roberto: le intitolazioni - La Regina Margherita non fu figlia di S.Luigi - Le reliquie traslate a Marsiglia da Sancia - Il mito alimentato da s.Francesco da Paola - L'orto di San Luigi: cent'anni dopo - L'ultimo viaggio da Marsiglia a Valenza
Figlia di re Manfredi. Costanza II di Sicilia
Sabato Cuttrera, Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 128
Per «II Costanza» di tal nome che fu sul trono di Palermo, cioè della Sicilia Citra, si intende quasi sempre lei, la figlia di Re Manfredi. Questo testo è preceduto da una premessa storica sulle imprese di Svevi e Catalani, ritornati a splendere per gli errori commessi da papi e Angioini. Ci sono Re Carlo che occupa l'Isola di Sicilia, papa Nicola III Orsini che lo frena e favorisce i nipoti e papa Martino IV contro la ribellione pro Catalani che liberano la Sicilia col sangue. Il tutto si svolge fra Vespro, Pisani, astrologo Bonatto e assedio di Napoli. C'è quindi il Martino che teme l'invasione catalana e spara scomuniche e l'Onorio IV che teme l'Imperatore e eleva i comuni toscani, allorquando gli eredi dei due avversi sovrani furono a contendersi Pisa e Genova. Dallo stop di questa guerra, e per via della successiva strategia dei rapimenti catalani a danno degli Angioini, abbiamo l'ascesa di Pietro II d'Aragona, e poi di Giacomo, il quale, liberato Carlo d'Angiò, ottiene finalmente dal pontefice l'investitura ufficiale del titolo materno di sovrano di Sicilia. Per Costanza, però, il sogno di principessa si era già avverato, fin da quando, piccola donna, sposò l'erede d'Aragona e Catalogna, avendo il padre Manfredi di Svevia fiutato l'affare, per via di un degno compromesso, fatto di troni e di titoli, che finì per convincere i Catalani. La parentesi dello scippo del Regno da parte di Carlo d'Angiò, nemico fatto prigioniero per tenere sotto ricatto il trono di Napoli, rallenta solo in parte il disegno di Manfredi prima, e della figlia poi, di intitolarsi Re di Palermo. Anzitutto Costanza fu Regina consorte d'Aragona sul trono spagnolo accanto a Pietro II, e poi entrambi, favoriti da due comandanti d'eccezione, come Ruggero Laùria e Corrado, che solcavano i mari come due saette, e da un longevo manovratore del calibro di Giovanni di Procida, ebbero anche l'Isola di Sicilia. La leggenda parla di una lunga rivolta voluta dal tradimento angioino di Don Giovanni, fatta di troppo sangue e di molti intrighi, che va sotto il nome di Vespro. Fatto è che Costanza si riprese il regno del padre, grazie al marito soprattutto, e che la politica colse al volo il grido all'indipendenza che veniva dall'Isola, sollevata con arte dalle sapienti mani dei ribelli di mestiere. Di certo Pietro fu acclamato Re, ma stavolta è lui il consorte della vera Regina rimasta a casa: Costanza di Svevia. Il nuovo sovrano venne riconosciuto più come liberatore dell'arroganza francese e perciò la corona sul suo capo, quella che era stata di Re Manfredi, fu il frutto di vero amore verso la Catalogna e verso la famiglia Sveva, che tanto aveva fatto per Palermo. Per questo la Regina, rimasta in Spagna, ricevé l'aiuto di Bisanzio, per quel riscatto finale con cui il Re affilò l'armata, sbarcò in Sicilia e gridò vendetta, riconquistando l'Isola costa costa. Fu così che tutte le guarnigioni francesi furono allontanate tanto da Palermo, quanto da Messina, grazie alla rivolta contro Carlo d'Angiò, sebbene questi si dicesse sempre pronto alla guerra, ma solo come reazione alla liberazione catalana. Con il ritorno della Casa Sveva sul trono siciliano, sebbene in condivisione con quella d'Aragona, Palermo giurò fedeltà per Costanza e lei fu pronta finalmente a sbarcare in una città che amava molto, alla stregua della sua Catania. La Regina venne a riprendersi il reame e il ritorno fu un trionfo. L'eco, giunta fino a Napoli, fu così forte da sollevare i baroni partenopei delusi, concentrati su Ischia, l'Isola dell'affranta Beatrice di Svevia, purtroppo zittiti dalla ritorsione angioina. Divenuta vedova, e vocata sempre più alla pace familiare, con il Papa e con i nemici, la Regina Costanza decise di ritirarsi e di affidare il trono a Federico III. La morte del Re l'aveva condotta a una lacerante vedovanza, per cui fu dura la decisione sui troni da spartirsi fra i due eredi.
Castelfranci, il castelluccio di Baiano. Dal feudo dei franchi del milite Radulfo al borgo con la tela del Vigilante e i fabbricatori di organi
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 170
Bascetta si immerge nel profondo dei primi secoli dopo Cristo, fra vici e pagi delle colonie di Liguri Bebiani, disperse qua e là sulla dorsale dell'Appennino Napoletano. Parte da questi primi insediamenti coloniali, fra cittadelle tardo romane, da Cerreto Sannita a Grumento di Lucania, e spazia alla ricerca di una corrispondenza logica fra le antiche e vicine Castello dei Franchi e Monte Mariano di Boiano dei Mariani e le nuove Castelfranci di Boiano e Monte Marano rifondate dai Lombardi nel 1093, che a volte sembrano combaciare, altre volte allontanarsi completamente nei secoli. A suo dire dalla prima sarebbe nata l'altra, risalendo quei popoli il fiume Calore dal Sannio Antico di Telese al Beneventano. Ecco ripresentarsi, una dietro l'altra, le vicende dei Franchi e dei Normanni. L'arrivo dei Mariani e la convivenza con culti in opposizione al Papa portò presto allo scontro, allontanando il Pontifex Giovanni, giunto da Bisanzio, in direzione di Sala Consilina, da dove presero a risalire i monti, rifondando Conza e la sua diocesi, sottomessa al Principato. Con "Castelfranci" Arturo Bascetta, da topo di biblioteca qual è, ci consente di accedere a importanti documenti del nostro passato dei quali si sentiva la mancanza. E, nel contempo, le sue ricerche sono una vera e propria miniera di notizie indirizzate alla conoscenza e alla comprensione dei nodi più complessi della vicenda umana e politica della verde Irpinia. Il pezzo forte feudale resta quello di Bayrano, precedente e vicina a Castelfranci di Bojano, che ha a che fare con Elia dei Balbano, quando Bayrano fu disabitata con la distruzione di Giffoni. E rieccoci in Demanio Regio, nella Contea di M.Marano del Comes Elia Gesualdo di Bayrano, lontano dalla Contea arianese del Conte Giordano, con la produzione della seta fra S.Magno Alter di Pietra Pizzuta e Pinna Sancti Menna. Ora ci sono i Balbano, da Apice a Calabritto, poi riparte la Contea a Conza, fino al sequestro dei feudi di Castelfranci all'arrivo degli Svevi, quando Baiano era degli imperiali di Giffoni. Mancava un exursus su Angioini, la tassa del Focolare e il Bajuolo del comune per la via Saba Major di Cassano, e sulle tasse minori per la coniazione di moneta, adoha, stipendio per i lupari, per l'addizionale e la guerra. Questa, sembra voler dire Bascetta, è la storia di Castelfranci, Baiano, Bagnoli e Mons Maranus, che ricompaiono fra le terre del Rescritto Angioino, non è una favola, non è una passeggiata banale descritta dai viaggiatori occasionali. Questo scritto è un impegno serio, nello Stato dei Della Marra con sede a Serino, insieme a Volturara, fino a quando Castelfranci e Baiano tornano nello Stato di Montemarano, sotto i Naccarelli, e poi con i Marchesi di Mirabella, fra il 1600 e il 1700. Il volume termina con un passaggio sull'Ottocento, con la vita politica e amministrativa, le professioni, i mestieri, e i primi elettori, scelti fra commercianti e artigiani del nuovo borgo. È, questa, la vera storia di Castelfranci, un piccolo borgo con l'immenso quadro del Vigilante, le chiese e gli organi musicali costruiti dai migliori maestri di tutto il Regno.
Béatrice de Provence, il testamento di Lagopesole: viaggio da Roma a Melfi sul cocchio di velluto
Sabato Cuttrera, Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 136
La Regina Beatrice se ne andò a piedi nudi all'altro mondo, in quel di Lagopesole, nella Valle Basilicata, dopo aver dettato le sue ultime volontà ai tanti presenti al suo testamento, giunti dalla vicina Melfi e oltre. Ella stessa vi scrisse che se essi non avessero potuto prendere parte all'esecuzione di quelle cose, sarebbe bastato che lo avesse eseguito almeno il marito e un paio di loro. E se questi ultimi fossero risultati impediti, sarebbero bastati anche altri che non ti aspetti, sufficienti per l'adempimento delle funzioni del testamento fatto chiudere con il sigillo reale. Così le ultime parole del testamento: - Et si omnes supradicti nollent, vel non possent his exequendis interesse, duo ipsorum una cum dicto Domino et marito nostro, ea nihilominus exequantur. Ad quod si praedictus Dominus et maritus noster nollet, vel non posset commode interesse, tres praedictorum Exequutorum, aliis non exspectatis, sufficiant ad praedicta exequenda. In cujus rei testimonium praesens testamentum sigillo nostro fecimus sigillari. Actum apud Lacumpensilem, in Camera Palatii, anno Domini millesimo ducentesimo sexagesimo sexto, die Mercurii in crastino Beatorum Petri et Pauli Apostolorum, praesentibus et vocatis et rogatis testibus, quorum nomina subscribuntur, videlicet: - B. Dei gratia Archiepiscopo Messanensi. - I. de Aciaco, Decano Meldensi, Regni Siciliae Cancellario. - Gaufrido de Bellomonte, Cancellario Baiocensi. - Magistro Garnero de Villari-bello, Decano S.Petri de cultura Caenomanensi. - Barallo Domino Baucii. - Petro Cambellano Franciae, Furcone de Podio Ricardi Militibus. Così chiude il notaio - Et me Regnialdo de Caziaco, ejusdem Regis Notario publico Provinciae et Forcalquerii, qui de mandato dictae Dominae Reginae praesens instrumentum et testamentum scripsi, et hoc meo signo signavi. Huic autem praesenti instrumento et testamento praefati testes sigilla sua in praedictorum testimonium apposuerunt, excepto meo Reginaldo praedicto, qui solum signo meo usus fui in hac parte...
Mercogliano, Torelli e Valle. Viaggio sotto Monte Vergine fra 1500 e 1900 e sopra Montevergine di Avellino
Claudio Rovito, Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 134
L'attuale Comune di Mercogliano consta di due storie: una ufficiosa, antecedente il 1193, ed una posteriore, quella ufficiale, basata su documenti che hanno un riscontro non solo nelle pergamene ecclesiastiche ma anche nella documentazione amministrativa. In realtà potremmo partire da cento anni prima, quando esistevano due regni, uno a Salerno detto Regno d'Italia, e uno a Palermo detto Regno di Sicilia, fino all'unificazione degli Svevi avvenuta fra il 1193 e il 1194. Mercogliano era infatti nella Contea dei dell'Aquila, insieme ad Avellino e ad altri feudi della zona. Più Contee dipendevano dalla città di Civitate, sede della nascente Diocesi vescovile che si intendeva imporre a capoluogo di una provincia dello stato chiamato Ducato Apulia che ebbe sede prima a Salerno e poi Bari (1087), città arcivescovili in quanto sedi metropolitane. Quando la sede dell'Apulia si spostò a Bari, la vecchia sede salernitana si trasformò in Principato per volere del Guiscardo. La ripartizione non piacque agli altri titolari dei ducati d'Italia che chiesero al papa di riordinare i feudi nel Concilio di Melfi (1087), da cui scaturirono gli Statuti generali (1089) che portarono alla pace, la Santa Trevia (1091) per la nascita di un elenco ufficiale dei feudatari, il Catalogo dei Baroni (1096) che elenca Principati e Ducati presi in Curia dal papa in quel di Benevento.1 La nascente ex Diocesi vescovile della 'provincia' del Principato, quella in cui ricade il feudo comitale di Mercogliano continua ad essere definita Civitate, benché ex capoluogo mai nato della provincia della regione di Urbe Salerno, meglio identificabile con toponimo di Civitate Salernitana, essendo appartenuta ad Urbe Salerno. Questo libro è un viaggio dalla A alla Z, con migliaia di nomi di persone e luoghi, fatti, carte inedite di archivi laici.
Maschito in Basilicata. Profilo storico sugli Albanesi di Lucania insediatisi ai piedi del Monte Vulture
Virgilio Iandiorio
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 158
Sembrerebbe che gli Albanesi, stabilitisi da così lungo tempo dall'altra costa dell'Adriatico non abbiano dovuto conservare se non un vago ricordo delle gesta dell'eroe di Croia. Ma non è così, e i luoghi comuni sull'ingratitudine dei popoli non si saprebbero riferire ad essi. Se la dominazione straniera non consente di innalzare un monumento al grande Castriota nel suo paese natale, se la Pelusia [oggi Svetigrad in Macedonia], che gli Slavi hanno ben rinominata "fortezza santa" (svetigrad), non è che un rudere, il nome dell'eroe continuerà ad essere benedetto e la sua memoria esaltata fino a quando un cuore albanese batterà nelle due penisole sorelle. La vala, che in Italia è la sola danza delle donne albanesi, è anche accompagnata da canti che ricordano la memoria cara di Scanderbeg. I tre giorni di Pasqua sono particolarmente consacrati alle danze e ai canti nazionali. Sembra che per questi esuli il trionfo di Cristo sulla morte si sia identificato con il ricordo di qualche vittoria riportata da Scanderbeg sugli invasori il giorno di Pasqua. Gli Albanesi d'Italia meridionale, che hanno conservato così fedelmente e religiosamente il culto degli antenati e delle tradizioni nazionali, possono rendere notevoli servizi ai loro fratelli orientali. Se la civiltà, se le idee dell'Occidente ravviveranno un giorno le popolazioni albanesi rimaste sottomesse alla dominazione straniera, gli Albanesi esuli in Italia avranno contribuito efficacemente a questo risultato. Lo zelo con cui hanno conservato le tradizioni nazionali, la loro premura ad apprendere i progressi della scienza occidentale, il loro desiderio di richiamare sui loro fratelli orientali l'attenzione e l'interesse dei popoli civili avranno potentemente contribuito al risveglio della nazione.
Colpo di Stato a Palazzo Reale: il Viceré di Napoli sequestra il tesoro di San Gennaro e s'incorona Re sul balcone della Regia nel 1620
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 228
Allo scadere del suo terzo mandato da governatore del Regno di Napoli, per conto del Re Filippo III di stanza a Madrid, il Generale e Viceré Don Pietro d'Ossuna si diede a fidelizzare il popolo, nella speranza di essere riconfermato nell'incarico. Quella, in realtà, fu un'occasione irripetibile per Napoli, che l'8 gennaio, due giorni dopo l'Epifania, rischiò di diventare la prima città europea a ribellarsi alla monarchia spagnola. L'occasione si presentò alla visita dei figlioli alla sala del tesoro di San Gennaro. Si conservava allora il tesoro reale degli antichi Re di Napoli in maggior stima di quella è al presente perché da quel tempo in poi, e particolarmente dal tempo di Masanello in poi, è stato quasi dal tutto distrutto, sia rispetto a' bisogni grandi della Corona, sia per essere stato manomesso da' Viceré, e quel poco che resta transportato ne' Castelli. Dunque, il Viceré, quell'otto di Gennaio, diede un superbo banchetto, nel corso del quale si trattenne a pranzo con trenta nobili, fra prencipi, duchi, e conti, risultati fra i principali signori del Regno, fatti tutti suoi «compadri», scelti fra quelli risultati più confidenti e benemeriti. Terminata l'ultima portata Don Pietro condusse il figlio e la nuora a scoprire la bellezza di questo tesoro, che fino a quel giorno non avevano visto, con al seguito tutti i grandi di Napoli che erano stati invitati a pranzo. Nella stanza di questo tesoro vi era un gran balcone, che all'uso d'Italia spargeva fuori, in una gran Piazza, che per esser giorno di domenica, e per le altre ragioni che si diranno, vi era un numero infinito di popolo. Rientrato poi di dentro spasseggiò alquanto dicendo facetie come al suo solito, poi presa la corona del Re Alfonso, con il scettro, ch'erano ambidue molto ricchi di gemme, postasi in capo la corona, e tenendo in mano lo scettro, mentre s'avvicinava al Balcone, voltatosi verso quei titolati che l'andavano seguendo gli disse: - Eh bene Signori, come trovate che mi stà questa corona sul Capo?. Ma non furono dello stesso avviso i nobili di Napoli...