ABE
La Basilicata federiciana nella toponimia medievale: rudimenti di storiografia sveva. Origini e aspetti pregiuridici del territorio
Antonio Vito Boccia
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 262
Con la struttura e con la forma di questo saggio, che ha ad oggetto uno studio sulla nascita dell'assetto moderno della Basilicata, viene presentata anche un'indagine approfondita sull'origine delle città lucano-basilicatesi e sulla determinazione dei confini della stessa regione, così come la conosciamo oggi. Nell'ambito di tali ricerche, finalizzate a ricostruire una storia che è ancora pressochè inedita, è stata messa in rilievo l'identità medievale del coronimo Basilicata, per come è risultato sia in base alle poche fonti primarie esistenti, che all'analisi toponimica: alla luce delle considerazioni contenute nel testo si vedrà che è lecito parlare di genesi 'sveva' della regione. Fermo restante il contenuto scientifico e il carattere argomentativo dell'opera, inoltre, vengono esposte una serie di tematiche di carattere storico-giuridico, unitamente ad altre di carattere linguistico, per quanto è possibile attraverso modalità divulgative. Sia le citazioni bibliografiche, sia quelle di archivio - se ritenute indispensabili - sono infatti presenti e vengono accennate ed inserite nel corpo del testo, mediante dei richiami volutamente sintetici (e non a piè pagina). Si deve poi segnalare il vasto utilizzo della 'toponimia', come principale metodo di ricerca: si tratta, com'è noto, di una scienza ausiliaria che risulta essere fondamentale per lo studio della storia del territorio, soprattutto in assenza di specifiche indagini archeologiche e di penuria archivistica. Essa, pur facendo parte della linguistica, intrattiene rapporti indispensabili con gli studi storici: infatti, riesce a rappresentare la significativa resistenza - sui luoghi - di veri e propri 'fossili linguistici', i quali possono fungere da guida, fornendo molto spesso adeguati e obiettivi riscontri, laddove (come nel periodo tardo antico e alto medievale) le fonti documentarie di primo grado sono molto scarse. A proposito di fonti d'archivio, dobbiamo ricordare che, perseguendo l'abitudine inveterata di cancellare una storia scomoda, fatta soprattutto di una presenza religiosa "concorrenziale" nel Mezzogiorno (parliamo di obbedienza 'ortodossa'), la chiesa cattolica - anche se involontariamente - ha grandemente contribuito a rendere poco leggibile l'epoca in esame, distruggendo il culto ortodosso e, vieppiù, i testi ad esso legati. A ciò si aggiunga la dispersione di una gran parte del patrimonio laico e, in particolare, di quello codicistico greco-medievale appartenente alla corte di Federico II, che venne improvvidamente donato da Carlo D'Angiò al papa e che, quindi, alla metà del Tredicesimo secolo fu trasportato in quello che sarebbe diventato l'archivio 'segreto' vaticano. Alcuni di questi codici si sono salvati e fanno parte del nucleo di partenza della raccolta vaticana, ma devono essere ritenuti come materiale archivistico disorganico e non perfettamente catalogato (inoltre, sono scarsamente studiati). Si specifica, infine, che pur non avendo una vocazione manualistica, il libro - grazie all'analisi di alcuni manoscritti medievali (soprattutto cronache e atti giuridici) - offre uno spaccato di storia del diritto vigente nel Mezzogiorno d'Italia, all'indomani dell'anno Mille.
L'astronomo di Benevento. Marco Beneventano e altre storie: Papa Benedetto XIII e Alfredo Zazo
Virgilio Iandiorio
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 108
Marco Beneventano fu un astronomo di fama. Egli polemizza con gli avversari del nominalismo, dottrina filosofica, una delle correnti più importanti della Scolastica, la quale sosteneva che i concetti, in filosofia chiamati universali, non posseggono una loro propria esistenza prima o scollegata dalle cose, né esistono al di fuori o nelle cose ma vengono concepiti solo come nomi. Dopo il 1500 lo ritroviamo a Venezia su invito del patrizio Giovanni Badoer, suo compagno di studi. Da qui, dopo qualche tempo, si trasferì a Roma, al seguito del cardinale Pietro Isvalies, (Messina, 1450 circa - Cesena, 1511), elevato al grado di principe della Chiesa nel 1500 dal papa Alessandro VI. (Filippo Crucitti, s. v. Isvalies in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 62, 2004). A Roma, si dedicò - in collaborazione con Giovanni Cotta - a studi geografici e astronomici. Tali conoscenze si riversarono nell'edizione romana del 1507 della Geographia di Tolomeo, per la quale elaborò, insieme con Cotta, gli ampi Schemata. Dopo la morte del cardinale Isvalies nel settembre 1511, Marco fece ritorno a Napoli, presso il cui Studio (cioè l'università) ottenne la cattedra di logica, e in seguito, tra il 1513 e il 1514, anche quella di geometria. Di vasta competenza astronomica e astrologica, Marco sostenne una polemica che lo oppose, tra il 1520 e il 1521, ad Albert Pigghe, docente di astronomia a Parigi. La controversia prese avvio nel 1520, quando Pigghe pubblicò in forma anonima il De aequinoctiorum solsticiorumque inventione, suscitando la reazione del Beneventano, che rispose con l'Apologeticum opusculum adversus ineptias cacostrologi anonimi (Napoli, A.Frezza, 1521), aspra critica rivolta all'ignoto astrologo che osava porre in discussione la validità non solo delle Tabulae Alphonsinae, ma anche delle scoperte di grandi astronomi quali Georg Peurbach (Purbach) e il Regiomontano (Johann Müller). Pigghe replicò con la Adversus novam Marci Beneventani astronomiam… Apologia (Parigi 1521), alla quale M. rispose nell'agosto 1521 con il Novum opusculum iterum scribentis in cacostrologum referentem ad eclypticam immobilem abacum Alphonsinum (Napoli, A. Frezza), che chiuse una disputa di notevole risonanza. Nel Novum opusculum del 1521 si definiva un "senex sacerdos ac Monachus". Dopo di quella data non si ha più notizia di lui; si ignora la data della sua morte. Non è certo, inoltre, che per il giubileo del 1525 Clemente VII lo abbia chiamato a Roma con l'incarico di penitenziere della basilica di S. Pietro, tra i diversi confessori nominati nel 1524 dal papa compare un "Marcus Abbas Beneventanus". Una tale identificazione, già proposta da A. Vittorelli (Historia de' giubilei pontificii, Roma 1625, p. 347), non trova evidenza documentaria. "Dalla lettura dei rotuli, cioè gli elenchi degli insegnamenti e dei professori, si evidenzia nell'anno accademico 1465-1466 la presenza, per la prima volta, di un corso di Strologia tenuto da Angelo Catone (1440 ca.-1496), filosofo beneventano, astrologo e medico di Ferrante I d'Aragona. Tra i suoi più importanti scritti c'è il De cometa anni 1472 in cui Catone riporta le indicazioni fenomenologiche e le caratteristiche di colore e di posizione della cometa, a cui attribuisce il nome di Pogonias; inoltre interpreta l'evento celeste dando indicazioni di tipo astrologico… Agli inizi del Cinquecento il nome che più spicca tra i lettori è quello del monaco celestino Marco da Benevento, teologo e matematico che durante la sua permanenza a Bologna aveva seguito insieme a Copernico le lezioni di astronomia di Domenico Maria Novara, tanto che nel volume Apologeticum opusculum si definisce Syderalis scientiae studioso.
Canes di Giovanni Darcio da Venosa: traduzioni dal latino edite e inedite di Virgilio Iandiorio
Virgilio Iandiorio, Giovanni Darcio
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 132
Di lui sappiamo quello che ha scritto nella sua opera Canes, pubblicata a Parigi nel 1543. Darcio era nato a Venosa, difficile stabilire l'anno; nella sua città si dedicò all'insegnamento, poi si trasferì in Francia al seguito del vescovo Andreas Richer. Di lui non sappiamo altro. Può sembrare un'impresa folle, come quella di cui parla Michel Onfray a proposito della biografia di Lucrezio: «Bernard Combeaud [amico del filosofo che aveva tradotto il De Rerum Natura] nutriva il progetto egualmente folle di scrivere una biografia di Lucrezio. Noi sappiamo che della vita di questo poeta non sappiamo nulla. Bernard però sosteneva che la frequentazione intima del testo gli aveva permesso di intravedere l'uomo e si proponeva quindi di raccontarne a suo modo la vita» (M.Onfray, Vivere secondo Lucrezio, Parigi 2021, tr. It. Milano 2023 p.12). Giovanni Darcio manifesta nella sua opera una conoscenza profonda dei cani, dell'arte di allevarli e di addestrarli, acquisita con l'esperienza diretta, come afferma in due punti nel testo (comperta loquor, cioè, io parlo con cognizione di causa). Dai suoi versi, perciò, traspaiono, come in controluce, i tratti della sua personalità. Non saprei dire quanta fede possa avere questa biografia di Giovanni Darcio, scritta alla maniera degli autori delle novelle storiche nei secoli XVII-XIX. Sul fondo di qualche verità ho tessuto una tela di parecchi avvenimenti, contemporanei e di certo patrimonio della sua cultura letteraria e della sua esperienza. Ad ogni modo potrà risultare di gradimento a chi legge vedere che le cose, che mi fingo narrate in prima persona dal poeta, poniamo che non siano realmente accadute, possono, però, risultare almeno probabili, perché i riferimenti ad esse sono avvenimenti dell'epoca del nostro poeta. Una full immersion nel passato, come ci hanno abituato a vedere con i ritrovati della più sofisticata tecnologia, e le diavolerie informatiche dei nostri giorni. Ma navigare nel tempo passato o futuro che sia e anche nello spazio vicino o lontano da noi, ha sempre attratto la fantasia dell'uomo. E penso alla Storia vera di Luciano di Samosata, vissuto nel secondo secolo d.C., un racconto fantascientifico di viaggi al di là delle terre conosciute ai suoi tempi, in cui i protagonisti arrivano addirittura a viaggiare nello spazio e ad incontrare i Seleniti, gli abitanti della Luna. Senza scomodare altri famosissimi poeti e scrittori che hanno scritto di viaggi al di là del tempo e dello spazio, ho immaginato di ascoltare dalla viva voce del poeta Giovanni Darcio momenti della sua vita, ricostruiti attraverso le poche parole che di sé ha scritto nelle sue opere, poche anch'esse.
Guardia Sanframondi preistoria e medioevo: le scoperte, gli scavi e le chiese nei documenti e nelle pergamene
Angela Iacobucci
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 100
Sono le storie di vita quelle che mi attraggono di più, le storie di quelle persone che vivono nell'ombra, ma che, discrete e forti, danno contributi importanti alla conoscenza e segnano il cammino dell'umanità. L'"incontro" accende la mia curiosità e apre la mente a mille domande, che piano piano catalizzano la mia attenzione e, ancor prima che me ne renda conto, diventano ronzio e poi pensiero. Come quando mi imbatto nella storia di qualche donna straordinaria, una di quelle donne complesse e complete, che, per un'antica e radicata tradizione culturale che le vuole ai margini, finiscono con l'essere troppo spesso dimenticate o addirittura cancellate dalla memoria collettiva. Mi prende allora il desiderio di scoprirne la personalità, di capire il contesto storico nel quale tanta bellezza è scomparsa e come ciò sia potuto accadere. Un battito d'ali di farfalla capace di scatenare un uragano nella mia mente, al punto che lo sforzo di riportarne alla luce la storia diventa scommessa. Comincio ad entrare nella storia lentamente, quasi per gioco, con il mio andare lento, prendendomi il tempo per le verifiche e anche per i ritorni, e a quel punto, mio malgrado, il coinvolgimento è già diventato motore inarrestabile. È quello il momento della penna! All'inizio la figura è evanescente, un'ombra fuggevole che lentamente comincia a prendere corpo e si materializza come da un sogno, poi, via via che le notizie si aggiungono, quali pennellate di colore al disegno dai tratti leggeri, il quadro si delinea. Così, lentamente, per incanto, la storia diventa leggibile, come l'inchiostro simpatico delle antiche lettere d'amore, quando venivano passate al calore della fiammella. Infine, quando il lungo lavoro si conclude e la spinta emotiva pure, quasi sempre, emerge una figura che mi lascia sorpresa e mi convince che ne è valsa la pena. Questo lavoro dedicato alla ricostruzione della Storia di Guardia Sanframondi è invece un po' anomalo, così come il modo in cui cominciò. Era una di quelle serate prenatalizie, con l'aria che pizzicottava le guance, ma non ancora fredda; la chiesa di S. Sofia risplendeva della magia delle luci soffuse che allungavano le ombre tra le volte inarcate e le antiche colonne romane. Nel silenzio di respiri trattenuti, risuonavano gli echi di antichissimi canti a cappella, che prendevano corpo sotto quegli archi longobardi e si levavano assottigliandosi in preghiere sublimi, nati lì, ancor prima che nascessero i canti gregoriani. Nella curva della piccola chiesa semicircolare, opposta alla mia, tra i volti noti, quasi sempre gli stessi, di una città di provincia, il sorriso e il cenno di un'amica, che in quel periodo era la Capo Delegazione del Fai di Benevento. Ci salutammo fuori. Il concerto di Canto Beneventano era appena terminato, ma le suggestioni aleggiavano ancora e l'atmosfera incantata tardava a fluire. Nel cicaleggio che sempre segue gli eventi, mi partecipò il desiderio che mi rendessi disponibile alla ricostruzione della storia dei numerosi tesori d'Arte della mia terra d'origine, per metterli in mostra nella vetrina delle "Giornate FAI di Primavera" del 2018. Le dissi subito di sì, come al colpo di fulmine di un innamoramento giovanile. Cominciai a raccogliere le notizie, un po' per gioco, un po' per scommessa, un po' per curiosità. Sulle prime continuavo a mantenere un goliardico atteggiamento di dovere, che oscillava tra l'impegno assunto e una sorta di amore per le radici. A.Iacobucci
I fratelli inseparabili e altre storie giovanili
Stefano Palazzi
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 112
Questo libricino, il primo, del giovane Stefano Palazzi, arricchisce il cuore per la gioia, le emozioni e altre coserelle che ti restano dentro dopo aver letto, tutto d'un fiato, le divertenti battute del nostro Autore. Certo, lui è alle prime armi, ma la stoffa si intuisce fin da subito e la speranza è che continui su questa scia, magari ampliando i tempi della commedia, con nuove e avvincenti avventure, come per un fumetto, più che un romanzo, verso cui appare trasportato di meno. Insomma il suo avvenire potrebbe essere, stile a parte tutto da caratterizzare, proprio nel racconto, lungo o corto, questo lo deciderà a breve… L'occasione, intanto, permette una riflessione su cosa scrivono, scrivevano, il perché e il come, i giovani alle prime armi affascinati dall'arte più antica del mondo, da quando esiste l'alfabeto. Pertanto la speranza è quella che da ciascun buon romanziere nostro si possano staccare pagine, moralità, ritratti, situazioni, che non stonino, anzi che naturalmente si richiamino ai classici di cronisti, novellieri, moralisti, satirici, autori di commedie dei secoli passati. A questo punto, concludeva Pancrazi dopo una lunga cernita di lavori fra Otto e Novecente, premesso che questa collana «d'ogni tempo» non è «un'antologia non è né un registro dell'anagrafe, né un ospizio, e che un libro anche grosso ha necessariamente i suoi limiti, dirò, perchè è il vero, che per scegliere questi sessantacinque scrittori ne ho cercati, tentati o provati almeno altrettanti. Quanto poi ad aver letto tutto di tutti, se anche mi ci fossi sobbarcato, delle due, una: o ci sarei morto sotto, o ne sarei sortito fuori imbecille. Nell'un caso e nell'altro, non avrei giovato né al mio lettore né a me. Ma certamente ho portato nella ricerca e nella scelta, la curiosità, la cura, e infine l'affetto ch'io potevo. Potrei anche raccontare al lettore che, nel corso del lavoro, alcuni autori o alcuni racconti sono più volte entrati ed usciti dal piano del libro. Includerli? Ometterli? Sostituirli? E qualche dubbio ha insistito, si è affacciato e riaffacciato, posso dire fino a ieri. Ieri finalmente, ho fatto mio il motto del gabellotto di Alghero…. Ad Alghero, su quel bel mare di Sardegna, presso la Porta a Terra, mi mostrarono una torretta dove fino al secolo scorso, ogni sera, calato il sole, saliva su un gabellotto. Dato uno sguardo all'intorno, il gabellotto gridava: Chi è dentro è dentro! E chiudeva la porta di Alghero fino al nuovo sole». È ciò che dice ancora oggi il cuore a un editore globalizzato, il quale, scimmiottando il grido dell'innocente gioco dei cavalieri (S.Giorgio, me ne vengo) che facevamo da ragazzi saltellando gli uni sulla schiena degli altri, anch'egli urla: Chi è dentro, è dentro! E chi è fuori, è fuori! E l'ultimo chiuda la porta.
Guardia Sanframondi, racconti di pietre: i monumenti (2 parte su archeologia, reperti e storia nel Sannio di Benevento)
Angela Iacobucci
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 128
Nel I volume: "Guardia Sanframondi", abbiamo raccontato la storia di questo antichissimo Borgo Medievale a partire dalle sue origini e di come queste affondino le radici nella Preistoria, grazie alla preziosa documentazione costituita dalla ricca raccolta di reperti rinvenuti e catalogati dal prof. Abele De Blasio, medico, psichiatra, antropometra, criminologo, titolare della cattedra di Antropologia all'Università di Napoli. Specializzato in Chimica Farmaceutica nonché appassionato di Scienze Naturali e di Paleontologia, Abele De Blasio dedicò, tra la fine del sec. XIX e la prima metà del sec. XX, numerose ricerche al territorio di Guardia, durante le quali rinvenne, grazie alle sue brillanti intuizioni: amigdale, fusaiole, macinelli di quarzite, tombe con resti umani, corredate di manufatti di creta, risalenti all'età del Bronzo, resti di animali domestici e persino palafitte. Tutti questi reperti furono raccolti in una vasta area compresa tra la Grotta S. Angelo, sulle pendici occidentali del Monte di Guardia fino alle terre situate a valle, presso il fiume Calore, passando per Castelvenere. Vi abbiamo narrato di come catalogò tutti i reperti con l'accuratezza e il rigore dello studioso, che pubblicò in oltre duecento pubblicazioni scientifiche, che hanno costituito la documentazione in base alla quale possiamo affermare che gli insediamenti umani quei luoghi in risalgono al Neolitico e soprattutto che la presenza umana in questi territori è stata uniformemente e costantemente distribuita a partire dal Neolitico fino ai nostri giorni, senza soluzione di continuità. Tra queste spicca, l'accurata descrizione, in una pubblicazione riccamente documentata, di due amigdale di Chelles, risalenti al Pleistocene, ritrovate nelle località di Starze e di Limata, presso il fiume Calore, che consentì l'esposizione delle due amigdale nel Museo Antropologico di Parigi, che ancora si onora di custodirle. L'enorme lavoro fatto in solitudine dal ricercatore certosino suscita lo stesso stupore del racconto di un sognatore visionario, se non fosse che testimonianze in pietra, reperti ossei preistorici, manufatti archeologici musealizzati e riconoscimenti accademici ci obbligano a una ossequiosa considerazione del lavoro geniale e pragmatico dello studioso. Abbiamo continuato la narrazione, mettendo in evidenza le difficoltà di reperire le testimonianze della presenza dei Sanniti sul territorio, sebbene la descrizione, che T. Livio fa della collocazione della "Fulfulae" sannita in "Ab Urbe condita", corrisponda esattamente alla posizione geografica di Guardia Sanframondi, le cui tracce, però, accuratamente cancellate dalla furia conquistatrice dei Romani, sembravano perdute. In questo secondo volume racconteremo le opere architettoniche e artistiche ancora presenti sul territorio perché rappresentano le testimonianze vive dello splendore economico e culturale del tempo a cui appartengono, perché danno solidità al racconto storico del primo volume, ma soprattutto perché la Bellezza in esse contenuta e il potere taumaturgico ineffabile che effondono meritano di essere godute. Quindi in una ipotetica passeggiata nel borgo, evidenzieremo, via via che le incontreremo, le poche testimonianze sannite, ma narreremo soprattutto quei monumenti e quelle opere d'arte che, sopravvissute alle guerre, ai terremoti e alle pestilenze, sono ancora testimoni tangibili della storia e della ricchezza di questo borgo, ma soprattutto diremo di come queste siano state recuperate, grazie all'amore per le radici e ad un notevole impegno economico.
Album Sannio, le figurine antiche. Volume Vol. 2
Rito Martignetti
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 68
Prima dell'avvento del Cristianesimo, la divinità più amata del Mediterraneo era Iside, la Grande Madre, che con il marito Osiride ed il figlio Horus formava la suprema Triade egizia, ricordata fin dai Testi delle Piramidi (2400 a.C.). La dea-maga dai mille nomi (mirionima) era, tra l'altro, "Signora di Benevento", come attestato nei geroglifici dell'obelisco di Piazza Papiniano, appartenente al Tempio isiaco fatto costruire dal devoto Domiziano nell'88-89 d.C. in un luogo non ancora identificato. Per l'egittologo Hans Wolfgang Müller, la città di Benevento "è il più importante centro di sculture originali in Occidente e non condivide questa caratteristica con nessun'altra città fuori dall'Egitto". Scrive Paolo Cortesi: "Quando il cristianesimo venne istituzionalizzato, iniziò la distruzione sistematica dei templi pagani". Ancora più esplicito, è lo storico Elio Galasso, che scrive nel Catalogo Electa di una grande Mostra su Iside del 1997 a Milano: "Giunti nel 571 a Benevento, i Longobardi distrussero ogni traccia di quella divinità, per accreditarsi come neofiti cattolici e signori del ducato di Benevento… La sua condizione di sorella e sposa di Osiride evocava ancestrali ripulse dell'incesto, trasferite ai sabba intorno al noce, marcati di sessualità oscena. Nel pantheon egizio Iside 'grande di incantesimi', ricomposto il corpo di Osiride fatto a pezzi da Seth, gli aveva restituito il soffio della vita muovendo le ali: da lei la strega ereditò poteri magici e capacità di volo; e la luna, astro di Iside e della fertilità ciclica della natura, rischiarò i convegni diabolici nelle credenze popolari". Questo libro è una chicca di 30 episodi, esposti, anzi sfogliati, anzi collezionati, proprio come in un album di storia, con tanto di figurine.
Storia del teatro d'arte napoletano (1880-1910): enciclopedia dei nomi di compagnie, artisti, registi, e ruoli dei personaggi delle rappresentazioni trattate
Antonio Sciotti
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 320
Fino alla seconda metà dell'Ottocento, il teatro dialettale napoletano è rappresentato esclusivamente dal repertorio di Pulcinella ed è totalmente assente il teatro popolare partenopeo, ovvero quello che porta in scena gli usi e costumi e gli episodi di vita reale napoletana. Fino a che Antonio Petito domina al teatro San Carlino, Pulcinella continua a regnare nei teatrini di Napoli, ma dopo la morte di Petito, si inizia ad avvertire la reale esigenza di avere un teatro libero dalla nota maschera partenopea, dai lazzi, dalle improvvisazioni e dalle continue battute (spesso noiose e ripetitive), e che rappresentasse la tragedia napoletana, il dramma popolare, storie veraci e sanguigne nelle quali il pubblico possa immedesimarsi e di riflesso commuoversi alle azioni sceniche ricche di verismo, crudezza e di verità. Una prima svolta avviene nel 1879, quando Eduardo Scarpetta, in seguito alla morte del noto Pulcinella Antonio Petito e dell'impresario del teatro San Carlino Giuseppe Maria Luzj, tenta di formare un nuovo teatro napoletano che si sovrapponga al dominio della maschera di Pulcinella e che sostituisca quello della storica maschera. L'attuazione di questo tentativo avviene egregiamente con la proposta della macchietta di Don Felice Sciosciammocca che trova grandissimo successo e che, in seguito, tenendo fisse alcune sue caratteristiche, diventa a sua volta una nuova maschera. Il teatro scritto da Eduardo Scarpetta sul personaggio di Felice Sciosciammocca, anche se è una grossa e trionfale novità, non diventa, però, rappresentativo del teatro dialettale napoletano, in quanto non porta gli usi e costumi napoletani o la vita popolare in generale in scena, bensì la vita borghese francese tratta dalle commedie parigine e tradotta in dialetto per le scene partenopee. Il successo è subito copiato da imitazioni mal riuscite. Così, dopo il grande trionfo conseguito da Eduardo Scarpetta (che per anni sbanca i botteghini dei maggiori palcoscenici della Penisola), si formano numerose altre compagnie che imitano la strategia e che, abbandonando farse e zarzuele, portano in scena adattamenti in napoletano di commedie comiche francesi. In definitiva, gli adattamenti e le riduzioni delle pochade francesi diventano l'ufficiale alternativa alla commedia di Pulcinella, ovvero alla cosiddetta recitazione a braccio. Ciò non appaga molti attori dialettali, ma soprattutto non soddisfa commediografi, giornalisti e critici che, invece, percepiscono il naturale bisogno del teatro d'arte napoletano, ovvero della commedia napoletana, di una rappresentazione che riproduca la vita del popolo napoletano e che diventi lo specchio del costume locale. Si avverte fortemente la necessità di una scuola della verità scenica, fedele ai testi, alla misura dell'espressione, alla naturalezza del dialogo, all'integrazione del personaggio. Il noto critico e commediografo Giuseppe Pagliara inizia a scrivere numerosi articoli sui periodici nei quali specifica la necessità del teatro d'arte napoletano e, soprattutto, dopo l'invasione nei teatri napoletani delle commedie francesi, di liberare il teatro dialettale partenopeo dalle sovrastrutture parodistiche e dalle incrostazioni convenzionali per avviarlo ad una più umana e sincera concezione e rappresentazione della vita, come vanno facendo Toselli e Moro Lin per la commedia piemontese e veneziana. Pagliara specifica pure che il genere del dramma, rispetto alla commedia grottesca, rappresenterebbe ottimamente il teatro d'arte napoletano perché esso rispecchia al meglio i costumi e le abitudini locali. Anche Roberto Bracco, restio a scrivere le sue commedie in dialetto, scende in campo per dire che è necessario un cambiamento nonostante Pulcinella, ancor vivo, festevole, burlone, povero di quattrini e ricco di espedienti favolosamente comici, continui a riempire le sale e a commuovere e far ridere a crepapelle il pubblico.
Insolite storie su Maleventum e Beneventum con cose mai viste, mai lette e poco conosciute: Diomede fondatore, i Liguri, le Streghe e altri pezzi
Rito Martignetti
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 132
Ci sono storie a volte mai lette, mai conosciute, e tantomeno pensate. Sono quelle che l'autore scova chissà dove, in testi antichi, rari, perduti. Poi c'è la parte più consistente del libro composta da brevi profili biografici, una sorta di medaglioni essenziali nei risalti, ma esenti da enfasi campanilistica. Sono ben dodici, dedicati a importanti personaggi di età antica, medievale e moderna che o vantano origini beneventane o hanno avuto significativi rapporti con la città. Costituiscono il contributo più vivace e ricco di curiosità storiche dell'intero testo e rappresentano un modo forse più divertente di raccontare i grandi avvenimenti del passato lasciandoli intravedere sullo sfondo delle vicende della vita dei protagonisti e attraverso i giudizi che di loro i biografi ci hanno lasciato. Si segnalano sia per efficacia di rappresentazione, sia per la varietà e singolarità delle notizie riportate, i ritratti di Silvia Pisacane (XXXIII), di Angelo Catone (XXII), della famiglia Capobianco (XXIV) e di Salvatore Albino (XXVII) che hanno non solo il merito di ricordare figure meno note, ma anche di tratteggiare scenari di più ampia valenza e di aprire spiragli su realtà poco frequentate dalla storiografia. Di non secondario interesse appaiono, poi, i due temi di storia longobarda che consentono all'autore di soffermarsi sul culto di S. Mercurio (XIII) e sugli exultet, rotoli di pergamena decorati con miniature che attraverso raffigurazioni mostrate in sequenza comunicavano ai fedeli, illetterati o meno, le diverse fasi della liturgia della Chiesa beneventana. Motivo della scelta sta nell'intenzione di rimarcare la carenza nella nostra città di allestimenti museali riguardanti proprio alcuni aspetti peculiari dell'Alto Medioevo beneventano. Se si eccettuano le iniziative del Museo Diocesano e della Biblioteca Capitolare, non si trova alcuna sala del Museo del Sannio o del palazzo Paolo V nella quale sia possibile ammirare, pur non in originale, testimonianze dalla produzione culturale della Longobardia meridionale. Con la pubblicazione di questo volumetto Rito Martignetti sceglie la formula delle spigolature erudite da lui felicemente utilizzata con il testo dato alle stampe nel 2006, "Arie da Baule". La denominazione potrebbe, in verità, disorientare. Lascerebbe pensare a malinconiche atmosfere gozzaniane, alle storie minime e intimistiche che le foto scolorite dell'album di famiglia riportano alla memoria, ai sentori di naftalina e di carta imbrunita dal tempo, ma è un'impressione che si rivela subito del tutto sbagliata. La narrazione procede con tutt'altro tono e problematicità di inquadramento, dimostrandosi di indubbia attualità, essendo diretta a ricordare ciò che non avremmo dovuto dimenticare o trascurare del passato delle nostre comunità. Pur richiamando il genere di saggistica per frammenti introdotta in Benevento da Alfredo Zazo e da Giovanni Giordano, il libro se ne distacca perché mantiene nello sviluppo degli argomenti una sua specificità analitica, una precisa strategia comunicativa, oltre ad un filo conduttore critico-interpretativo che gli conferisce unitarietà e che, in alcuni dei temi affrontati, assume quasi la forma delle glosse di origine alessandrina con cui si commentavano i classici della letteratura e le raccolte di leggi. Un esempio di questo tipo di notazioni è dato dai paragrafi particolarmente interessanti dedicati al "Cavaliere Trace di Pago Veiano (VIII), allo "Zodiaco del portale di S. Maria Rotonda" (XX) e alle "Incisioni di Teresa del Po" (XXXII), denso di riferimenti bibliografici, come spiega il professore Francesco Bove.
Pietrastornina (Av) nata col papa di Avignone: la mensa detta San Martino dei 29 paesi di benevento da Clemente VI a Benedetto XIII rifondati dai migranti fuggiti dopo il sisma del 1348 che distrusse il Sannio antico
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 124
Secondo una teoria tutta nostra, la prima chiesetta nella zona del monte Vergine, intitolata a Santa Maria Vergine e Genitrice di Dio, nacque con un preposto insediatosi ora a Campora di Rotondi, ora in una non meglio identificata Submonte che palleggia l'antichità lombarda della Valle di Avellino con il luogo detto Trasmonte. Prima di ogni altra ipotesi che accomuna i paesi della Valle Caudina con quelli della Valle di Campobasso sarà preferibile analizzare meglio i toponimi. Non a caso il Catalogo dei Baroni, retrodatato finalmente al 1096, parla di una Valle Gauda e di una Valle Gaudina in un altro luogo del medesimo territorio. Moltre sciocchezze infatti potrebbero cadere studiando meglio la rivoluzione migratoria avvenuta dopo il sisma, la peste e l'invasione ungherese del 1348, quando molti paesi vennero ricostruiti e ben 29 dei circa 36 furono proprio quelli del Partenio, come risulta da una bolla del 1348, quando l'inviato del papa di Avignore, Bernardo Deucio, rifondò l'arcidiocesi di Benevento e questi 29 paesi che non estevano più nei luoghi originari e furono riedificati dove li vediamo, da Montesarchio a Sant'Angelo a Scala. Il 28 e 30 aprile 1348 Papa Clemente VI scrisse subito all'arcivescovo Balduino Treverense dell'Oppido Aquensi, Aquensis o Aquense, che rappresentava la Leodiensis Diocesis, dopo la vacazio dell'Imperio Romano per la morte di Enrico Imperatore e la seguente discordia con Ludovico di Baviera, eretico e manifesto scismatico. Lo fece poi sapere anche agli elettori imperiali: l'Arcivescovo Gerlaco di Civitate Maguntina, nelle vicinanze della Parte Incolis al vescovo Diaconense, al vescovo Coloniense che sono i quattro grandi elettori dell'Imperio Romano. Poi avvisa Re Carlo nella sua sede di Civitate Argentinensis il 4 agosto 1346 dell'invasione del Regno Romano super Alveo Reni, facendo Carlo, primogenito di Giovanni Re di Boemia divenuto cieco, da marchione della Moravia a Re dei Romani. Facendo pace il 23 agosto con il Re di Francia ed Inghilterra. Dilectis filiis nostri, si-abiiiis, consilio ot communi ojiidi -iuensis Leodiensis diocosis- 25 novembre Clemente VI scrive a Betrando. «Clemens Papa VI, legatum misit Bertrandum Cardinalem Deucium, a quo habitâ omnium diligenti informatione et antiquorum limitum, terminos Territorii Beneventani sic definivit diplomate Pontificiôm quod servatur in Archivo civitatis; estque huius tenoris: Urget nos Apostolicae servitutis etc. ex certa scientia limitamus per modum et terminos infrascriptes, In primis Castrum Pontis inhabitatum, et inde ascendere Castrum Casaldoni, Castrum Campi lattari, Castrum montis Leonis, Castrum Sancti Severi, Castrum Fragneti Monfortis, Castrum Fragneti Abbatis, Castrum Sancti Georgii Molendinaria, Castrum Sancti Andreae de Molinaria, Castrum petrae maioris, Castrum Paduli cum suo suburbio, sive Casali Sancti Archangeli, Castrum montis mali, Casale Templani, Castrum Apicii cum casalibus, Castrum Moroni, Castrum Venticani, Castrum montis Militum, Castrum montis aperti, Castrum montis Fuscoli cum casalibus, Castrum Tufii, Castrum Altavillae, Castrum Cepalloni, Castrum Petrae Strumierae, Castrum S. Martini, Castrum Cervinariae, Castrum montis Sarveli, Castrum Tocci cum casalibus, Castrum Torregusii, cum casali Popisii et aliis casalibus. Volumus itaque etc. Datum Avenione septimô Kalendes Iunilannô nonô, salutis autem 1350. «Sicque territorium Beneventanum erat amplum; nunc autem ab Hispanis valde suit imminutum: complectiturque tantum in praesentia Castra S.Angli de Cupola, Mottam, Panellam, Montem Orsi, Maccolum, Sciarram, Pastenam, Balnearam, S.marci a montibus, S. Lucii, S. Angeli, et Francavillam; quae omnia vix 3. aut 4. milliaribus distat a Benevento».
Grand Tour sulla Traiana: i viaggi di Berkeley e Swinburne sulla scia di Boccaccio
Virgilio Iandiorio, Teresa Zeppa
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 160
Come si presentava la città di Benevento nei secoli XVIII-XIX agli occhi dei viaggiatori inglesi venuti a visitarla, lo lasciamo raccontare a tre di loro: Kettel Craven (1779-1851), che vi era giunto alla fine del secondo decennio del l'Ottocento, Henry Swinburne (1743-1803) nel 1785, scrittore e vedutista, che ha lasciato una quantità di diari e disegni dei suoi viaggi in Italia, e, ancor prima, il vescovo anglicano di origine irlandese George Berkeley (1685-1753), che, nella sua seconda visita in Italia, 1716-1720, vi si trattenne per qualche giorno. Questo volume, il terzo della collana, come i prossimi altri due, sono dedicati ai viaggiatori nelle Terre Beneventane. Abbiamo pensato di far precede i brani dei tre viaggiatori inglesi a Benevento, da pagine della guida dell'Italia del Sud di John Murray (1808-1892) discendente di antica famiglia di editori. Il Murray iniziò la pubblicazione di Handbooks (letteralmente "manuale di istruzioni") dell'Italia meridionale nel 1836. Questa sua attività editoriale riguardava diversi paesi europei. Dai suoi Handbook per viaggiatori nei paesi europei, sono poi derivate le moderne guide turistiche, che nel 1915 assunsero la forma grafica delle Guide Blu, come sono chiamate. Dal 1836 le Guide dell'Italia del Sud sono state aggiornate dal Murray, per questo abbiamo preso come riferimento sia quelle pubblicate prima dell'Unità d'Italia sia quella edita appena qualche anno dopo di essa. In sostanza l'impianto degli handbooks del 1865 rimane quello delle precedenti edizioni, ma i pochi aggiornamenti, che possono passare anche inosservati, ci fanno capire meglio quello che stava cambiando nell'Italia unita. Sebbene decentrata rispetto a Napoli, la città di Benevento rientrava nel programma di visite più di tutte le altre città del Regno, per la sua storia in età romana e longobarda. Chi in Europa non conosceva le Forche Caudine e la lotta accanita dei Sanniti contro i Romani, e la Langobardia meridionale fondata da un popolo venuto dal Nord dell'Europa! Per questo valeva la pena una visita, anche se poteva costare il fastidio di un viaggio su non comode strade. E poi Benevento rappresentava un caso non comune di un'enclave territoriale dello Stato della Chiesa nel Regno di Napoli. Insomma c'erano una serie di validi motivi per suscitare l'interesse del visitatore forestiero, e inglese in particolare. Impressioni, resoconti di viaggio che ci fanno "vedere" come gli stranieri percepivano le realtà, sociali e culturali, delle province interne del Regno di Napoli e ritrovare nelle loro annotazioni le cose buone da essi riscontrate. Perché, forse, troppo a lungo abbiamo trascurato, se non sottovalutato, quanto di positivo la nostra tradizione culturale ci ha tramandato. Uno sguardo attento sul nostro passato certamente ci induce a considerazioni, se non ottimistiche, sulla condizione odierna del Meridione, quanto meno a non abbandonarci a lamentazioni retoriche sulle passate arretratezze rispetto alle nazioni allora più avanzate nel campo economico e sociale. Cosa che diventa indispensabile in questa nostra epoca, che riscopre le culture locali come antidoto alla globalizzazione, che non conosce confini e condiziona la vita di tutti i giorni. L'autore francese, M.Valery, descrive così il viaggiatore tipo che veniva dall'Inghilterra, e anche gli inconvenienti a cui andava incontro. "Appena siete in Italia, con il vostro aspetto di forestiere (straniero), troverete un atteggiamento presso gli abitanti molto diversificato: nelle classi alte, molta cortesia, ospitalità e giovialità; nel popolo, al contrario, lo straniero, malgrado le formule cerimoniose, non è che una preda, una sorta di bottino su cui buttarsi per trarre la propria parte secondo i mezzi: il ragazzino, mezzo nudo, corre appresso alla vettura gridando carità, ma quando sarà diventato uomo, potrebbe prendere la sua carabina e mendicare in maniera più nobile; il perfidus caupo non è meno furbacchione dei...
Montefusco. Passeggiate emozionali alla scoperta di atmosfere e storie nell'ex Capoluogo della provincia di Principato Ultra Benevento in Regno di Napoli
Lucia Gangale
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 180
Dalle prime curve che, in salita, conducono a San Giorgio del Sannio, è possibile vedere Montefusco, alto e fiero sulla sua maestosa montagna. Bello e fascinoso, se ne sta a guardia di una vallata senza fine, e già capisci che, con quella posizione, con quella linea che forma uno skyline inconfondibile, deve avere avuto una storia bella e importante. Il mio viaggio era cominciato l'anno precedente la stesura di questo volume con l'apertura di Palazzo Giordano, ma stavolta, per raccontarvi di Montefusco e della sua storia, parte dalla parte a valle del paese, e cioè da Contrada Potenza, in quel mistico luogo dove un tempo sorgeva la casa natale della Beata Teresa Manganiello, e prosegue verso il centro storico, distante da qui circa due chilometri. C'è un freddo che entra nelle ossa. La temperatura è scesa a -1.0 gradi. Rari sono i passanti in strada.