Il Saggiatore: La cultura
Si può solo dire nulla. Interviste
Carmelo Bene
Libro: Libro rilegato
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2022
pagine: 1736
“Si può solo dire nulla” è la raccolta definitiva delle interviste di Carmelo Bene. Un’opera che insegue la voce di Bene lungo quarant’anni di carriera per restituire, attraverso le sue dichiarazioni pubbliche, l’autobiografia impossibile di una delle figure più geniali, trasgressive, incatalogabili del Novecento. In queste interviste assistiamo a distanza ravvicinata alle molte vite artistiche di Bene e alle sue evoluzioni. Lo incontriamo appena venticinquenne mentre risponde con sfrontatezza alle accuse di oltraggio al pudore per il provocatorio “Cristo ’63”. Lo ritroviamo come un alieno al Festival del cinema di Venezia a presentare il film “Nostra Signora dei Turchi” o sfidare a duello un critico che aveva mosso riserve contro la sua “Cena delle beffe”. Siamo testimoni del successo ottenuto in Francia con “S.A.D.E.” e “Romeo e Giulietta”, delle sue sperimentazioni sonore – la ricerca sulla phonè – e della trasformazione dell’attore in «macchina attoriale». Assistiamo alla lettura della Commedia di Dante in cima alla Torre degli Asinelli di fronte a più di centomila persone. Lo seguiamo mentre calca le scene di tutta Italia, illuminato dalla luce del mito, braccato da un pubblico e da una stampa che vuole penetrare il mistero di un genio e partecipare della sua aura. Con gli occhi neri come due crateri fissi sull’intervistatore, Carmelo Bene alterna in queste pagine profezie e stroncature, anatemi e poesie, cerca l’autopromozione con gli stessi gesti con cui fa arte, discute e litiga di immortalità e di calcio, di letteratura e oblio, di sacro e gossip, perché ogni cosa nel suo mondo è tutto e niente, esiste ma senza esistere. Per Carmelo Bene «si può solo dire nulla» perché questo è il destino di ogni discorso: tutto è sulla scena solo per essere distrutto e dimenticato per sempre.
Potente e turbolenta. Quale futuro per l'Europa?
Anthony Giddens
Libro: Libro in brossura
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2021
pagine: 240
Nel 1946, dopo anni di conflitti e distruzioni, Winston Churchill dichiarò che solo gli «Stati Uniti d’Europa» avrebbero potuto risollevare questo «continente potente e turbolento», restituendo gioia e speranza a centinaia di milioni di persone. Settant’anni dopo, l’Unione Europea affronta la più grave crisi della sua storia: la moneta unica, per come funziona attualmente, si sta di- mostrando insostenibile e le politiche di austerità hanno acuito le disparità tra i paesi e al loro interno. Nonostante i molti traguardi raggiunti, la popolarità dell’Unione sta rapidamente scemando. L’Europa non sembra più così potente, ed è tornata turbolenta. Politicamente divisa, in- capace di esprimere una leadership autorevole, prigioniera di nuove rivalità e di una burocrazia sempre più complessa e meno incisiva, l’Unione non riesce a supportare con efficacia i paesi in difficoltà e rischia di diventare un attore irrilevante sulla scena internazionale. In “Potente e turbolenta” Anthony Giddens indaga a tutto campo i problemi del Vecchio continente, indicando soluzioni concrete e originali. È un errore credere che le disfunzioni della moneta unica siano la sola fonte del malessere europeo. Stabilizzare l’euro e far tornare al centro ricchezza e occupazione è necessario, ma non basta. I crescenti flussi migratori, i problemi sociali e demografici, l’inefficienza di molti sistemi di welfare, il riscalda- mento globale, le conseguenze delle innovazioni energetiche e tecnologiche sono questioni urgenti, che condizioneranno il futuro dell’economia e ne saranno a loro volta influenzate. Per affrontare le complessità dell’epoca globale e trasformarle in opportunità non è possibile proseguire sulla strada indicata dalla pur riluttante egemonia tedesca, né tornare alla sovranità dei singoli stati. Solo una maggiore integrazione politica permetterà di adottare riforme coraggiose, pragmatiche e non convenzionali, capaci di ridare vigore ai valori di solidarietà e coesione sociale che l’Europa proclama per ora soltanto sulla carta.
Psycho
Robert Bloch
Libro: Libro in brossura
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2019
pagine: 183
Mary Crane è una donna in fuga, bella e sola, stretta al volante di un'auto sotto una pioggia implacabile. È inseguita dal senso di colpa e dall'ombra del delitto, perché ha rubato quarantamila dollari per saldare i debiti dell'uomo che ama. A un bivio imbocca la strada sbagliata assecondando l'impulso di un istante. Davanti a lei, ai margini di una palude marcia, si staglia la sagoma scura del Bates Motel. In quelle vecchie stanze mai rimodernate, sorvegliate dagli occhi vigili di uccelli impagliati, vive un uomo reso folle da una madre tirannica e possessiva, che lo tiene inchiodato a un'esistenza opprimente. Il soggiorno di Mary nel Motel è destinato a non durare: viene brutalmente stroncato la sera stessa, quando Norman Bates si introduce nella sua camera mentre lei, nuda sotto una doccia bollente, tenta di lavare via una giornata sbagliata. Inizia così "Psycho", un thriller violentemente erotico, senza respiro e senza salvezza, un omicidio agghiacciante a cui segue l'indagine su un killer perverso, che si impossesserà per sempre dei nostri incubi. Perché Psycho è soprattutto questo: un nuovo immaginario della paura, fatto di sguardi luccicanti, di motel in rovina su strade perdute, di docce insanguinate e coltelli da cucina. Con un'intervista di François Truffaut ad Alfred Hitchcock. Postfazione di Loris Tassi.
L'algoritmo e l’oracolo. Come la scienza predice il futuro e ci aiuta a cambiarlo
Alessandro Vespignani
Libro: Libro in brossura
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2019
pagine: 197
Nell’agosto 2014 lo scienziato Alessandro Vespignani riceve una chiamata: un’epidemia senza precedenti sta distruggendo la Guinea, presto contagerà il resto del mondo. Il nome del virus è ormai noto a tutti: Ebola. Vespignani e il suo team si collegano a un supercomputer e, grazie ad algoritmi e simulazioni, riescono a prevedere la diffusione del virus con mesi di anticipo. Predire il futuro è la nostra ossessione sin dall’alba dei tempi. Gli aruspici hanno scrutato per secoli il domani nelle carcasse degli animali, e ancora oggi non riusciamo a fare a meno della divinazione: sapere a che ora sorge il sole o quando ci sarà la prossima eclissi lunare mitiga il nostro senso di spaesamento nell’universo. Cosa accadrebbe se fosse possibile prevedere con largo anticipo non solo fenomeni come quelli meteorologici, ma tutta la nostra vita? Togliamo il se. I nuovi indovini artificiali lo stanno già facendo. Alessandro Vespignani – uno dei più importanti scienziati della predizione al mondo – con la sua arte mantica non si affida ai segni della natura, bensì a quelli matematici della datificazione. E a fornirgli questi dati siamo proprio noi. Non ci credete? Guardatevi intorno: le nostre tracce sono ovunque. I pagamenti che eseguiamo con il bancomat dicono cosa possiamo permetterci e cosa ci piace, il gps sullo smartphone registra tutti i nostri spostamenti, l’algoritmo di Facebook impara i nostri gusti in fatto di cinema e musica, moda e cibo, fino a sapere che cosa abbiamo intenzione di votare alle prossime elezioni. Tutti questi dati che seminiamo sono il punto di partenza, il pozzo da cui attingere per simulare e anticipare il futuro. Una sfida che non si esaurisce nella predizione delle attività quotidiane, ma che mira a utilizzarle per profetizzare fenomeni molto più grandi: pandemie, guerre, crolli economici e politici, disastri naturali. "L’algoritmo e l’oracolo" non racconta come tutto ciò potrà accadere un giorno; racconta come, senza che ce ne accorgiamo, stia già accadendo.
I cavalieri divini del vudù
Maya Deren
Libro: Libro in brossura
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2018
pagine: 320
Come un richiamo ancestrale, il sonaglio sacro del vudù fende l'aria con un suono ipnotico, rauco o stridulo, che si ripete prolungato, si unisce ai versi degli animali e rincorre l'oscurità per raggiungere un altro universo: quello dei morti. È un oggetto di fabbricazione semplice: una zucca la cui cavità viene riempita di ossa di serpenti e la cui superficie viene adornata con perle che mollemente ne ricalcano i contorni. Solo lo houngan, il sacerdote, può utilizzarlo. Quando Maya Deren nel 1947 da New York approda a Haiti, il vudù è ancora la religione dominante, e lei una giovane regista di film sperimentali e d'avanguardia. Il suo sguardo di artista viene catturato subito da quel conturbante pantheon di divinità, e Maya Deren si trova presto coinvolta nei riti notturni. Dopo i canti di apertura, gli inchini e i passi tradizionali, vede lo houngan intonare l'invocazione a Damballah, il grande dio serpente. Tra i bagliori dei fuochi sente levarsi i tamburi. Assiste a una danza simile all'acqua, in cui i corpi, fluttuando, si chinano lentamente verso terra, convergendo al centro come un'unica, magica corrente. Ma Maya Deren non si limita a osservare: alla fine del suo percorso iniziatico sperimenta la possessione, e le viene assegnato uno spirito guida, Erzulie, la divinità dell'amore. Secondo il vudù, infatti, lo spirito che è in ciascuno di noi non perisce insieme al corpo, ma può diventare un loa, uno spirito sacro, e sostituirsi temporaneamente a chi è ancora in vita attraverso la possessione: è allora che i cavalieri divini si impadroniscono dell'iniziato e lo cavalcano. Il prescelto può così accedere alla quinta dimensione, quella dell'eternità, diventare «pieno di dio» e ricreare in Terra il suo paradiso, ricevendo dalle divinità ispirazione, cura e consiglio. Con "I cavalieri divini del vudù", arricchito della prefazione di Joseph Campbell, il Saggiatore restituisce al lettore una delle testimonianze a oggi più esaurienti sulla ritualità haitiana. Maya Deren, discostandosi dall'approccio dell'antropologia tradizionale e iniziandoci ai misteri dell'armonia cosmica, trascrive una realtà che, come ogni archetipo mitologico, vive nel cuore di ogni essere umano.
L'esilio impossibile. Stefan Zweig alla fine del mondo
George Prochnik
Libro: Libro in brossura
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2018
pagine: 390
«Non avrei mai creduto che a sessant'anni mi sarei trovato a sedere in un piccolo villaggio brasiliano, servito da una giovane nera scalza, a decine di migliaia di chilometri da quella che una volta era la mia vita: libri, concerti, amici, conversazioni.» Chi scrive non è un antropologo, un medico filantropo o un cineasta d'avanguardia. È Stefan Zweig, l'autore straordinariamente prolifico, il «sovvertitore dei sensi», l'intellettuale celebrato come una star, attorno al quale si stringeva un cenacolo frequentato, tra gli altri, da Freud, Mann, Roth, Einstein, catalizzatore di alcune fra le correnti artistiche e filosofiche più importanti del Novecento. Finché Hitler non ne mise al bando i libri e lo costrinse ad abbandonare il suo Olimpo glorioso e gli adorati caffè, dove leggeva il giornale o giocava a scacchi, per abbracciare le mille esistenze dell'esule. "L'esilio impossibile" racconta la vita tormentata, l'allontanamento forzato e il triste epilogo di un grande scrittore, «il settemila volte trasmesso in radio, filmato e fotografato Stefan», morto suicida nel 1942 a Petrópolis, Rio de Janeiro. E attraverso il suo ritratto scandaglia la tragedia che il popolo ebraico e la generazione degli émigrés contemporanea a Zweig dovettero affrontare: spogliato della propria identità, l'esule è un Ulisse condannato a errare senza la protezione degli dèi, in bilico tra senso di appartenenza e slancio cosmopolita e, nel caso dell'artista, tra impegno politico e desiderio di trascendenza. In "L'esilio impossibile", George Prochnik fa convergere l'onta dei due grandi conflitti mondiali e il destino dell'Europa nel solco della biografia di Stefan Zweig: l'instancabile sostenitore di un umanesimo universale e il nobile pacifista dalla prosa indiavolata, la cui generosa signorilità e il cui fascino sensuale stillano da queste pagine come rugiada destinata, nell'eco infernale del gorgo bellico, a tramutarsi in lacrime.
Billie Holiday
John F. Szwed
Libro: Libro in brossura
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2018
pagine: 224
«Triste, olivastra, pigra, felina, fumosa, strana.» Sembra la declinazione di una personalità spigolosa, invece è quella di una voce, una voce «molto difficile da descrivere»: quella di Billie Holiday, la più grande interprete jazz di tutti i tempi. La dea dalle celebri stravaganze e irregolarità ritmiche; la Billie politica di Strange Fruite della Harlem degli anni trenta, anima gemella di Lester Young e rivale di Ella Fitzgerald; la Billie trasformista che strizza l'occhio al cinema e alla televisione ma viene paragonata a un poeta come John Donne. Un'icona inesauribile che ancora oggi, a sessantanni dalla scomparsa, chiede di essere decifrata. Non solo per le mistificazioni che costellano la sua discussa autobiografia, "Lady Sings the Blues". Ma perché la sua vita e la sua musica sono due giganti che si fronteggiano, difficili da armonizzare in un'immagine unitaria che non limi le asperità e le bizzarrie della sua persona ma nemmeno lasci in ombra la sua dimensione artistica. John Szwed prende in mano l'intricato filo dell'esistenza di Billie Holiday isolando le vicende biografiche - la miseria durante l'infanzia, poi la piaga del razzismo, l'abuso di droghe, la brutalità degli uomini - dalla sua ascesa musicale, quando il jazz, il pop e il blues si mescolarono e la voce «indelebilmente singolare» di Billie Holiday plasmò la storia del jazz. Tra brevi ritratti, scorci storici e raffronti inediti - come quello fra le "diseuses" del cabaret parigino e i cantanti gospel, soul e rap afroamericani -, Szwed si dimostra il maestro delle contaminazioni, dell'emozione e del rigore, capace di dare a Billie Holiday un volto nuovo, sfaccettato come un ritratto cubista. Con "Billie Holiday" il Saggiatore torna sulle tracce di questa artista intramontabile. Perché se «il jazz è il suono della sorpresa», le improvvisazioni di Billie Holiday risvegliano in noi la meraviglia dell'ascolto.
Capri 1905-1940. Frammenti postumi
Lea Vergine, Elisabetta Fermani, Sergio Lambiase
Libro: Libro in brossura
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2018
pagine: 312
«Capri, prima ancora di essere un'isola, è l'Isola.» È qui che, fra il 1905 e il 1940, sulla piazzetta, al caffè o in clausura, lavorarono anarchici, socialisti, futuristi, poeti e profeti. L'isola è stata il palcoscenico estenuato di incontri e addii fra dandy radicali, esteti dannunziani, facoltosi disoccupati e dilettanti supremi: il microparadiso terrestre in cui una cultura raffinata e astenica celebrava le proprie ambasce crepuscolari e recitava la diversità, lo spleen, l'isolamento, l'insofferenza velleitaria per il proprio tempo. Ma soprattutto Capri è stata l'imprescindibile punto di convergenza per chi esplorava nuove forme di linguaggio artistico e di teorizzazione politica, elaborando nuovi progetti di umanità e generando utopie ad alto potenziale: la fucina di ideologie, movimenti e correnti che determinarono la storia europea del Novecento. Fra gli scogli di Marina Piccola o fra le rovine di Villa Jovis si dettero convegno le personalità cruciali per le avanguardie degli anni venti e trenta: i futuristi con Marinetti, Prampolini e Depero, e i circumvisionisti; Romaine Brooks, Marevna, Walter Benjamin e Peggy Guggenheim. Nelle strade di Capri e intorno alle sue dimore spirava il vento politico dell'Est, con la Prima scuola superiore di propaganda e d'agitazione per operai fondata da Bogdanov, Lunacarskij e Gor'kij (nonostante l'opposizione di Lenin). Su tutti, Edwin Cerio - l'ironico bardo del cosmopolitismo caprese - accoglieva gli esuli e faceva da ponte fra la cultura internazionale e la cultura mediterranea. In Capri Lea Vergine, Elisabetta Fermani e Sergio Lambiase raccontano prestigio e decadenza dell'isola: affrontano i labirinti delle memorie dei sopravvissuti, si avventurano nello spoglio di carte d'archivi privati o semipubblici, distillano i momenti privilegiati e ignoti di molte vite, e con l'aiuto di questi documenti originali e testimonianze vive arrivano a tratteggiare, infine, questo esterno con figure. Capri, inventario unico di storie e incontri, disegna una topografia culturale d'eccezione; narra un luogo e un tempo irripetibili, ma di cui oggi avremmo sommamente bisogno.
Lipstick traces. Storia segreta del XX secolo
Greil Marcus
Libro: Libro in brossura
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2018
pagine: 446
Un fantasma si aggira per il XX secolo: ha i capelli rossi e sparati di Johnny Rotten, il monocolo di Tristan Tzara e lo sguardo visionario di Guy Debord. Chiamatelo Cabaret Voltaire. Chiamatelo potlatch. Chiamatelo punk. È la critica radicale e corrosiva alla società contemporanea, è il sovvertimento di ogni cultura ufficiale, è la palingenesi al vetriolo della musica rock. Tra il 1957, l'anno di nascita dell'Internazionale Situazionista nella piccola Cosio d'Arroscia, e il 1976, quando una scalcagnata band messa insieme dall'astuto proprietario di un negozio di abbigliamento sadomaso incide «Anarchy in the UK», non passano nemmeno vent'anni. Eppure tanto basta perché i semi gettati da surrealisti e dadaisti, e poi annaffiati dal situazionismo nel Maggio francese, germoglino nell'inno ufficiale della controcultura e della ribellione giovanile grazie a Malcolm McLaren e ai Sex Pistols. Greil Marcus ci riporta là, tra le provocazioni dei lettristi e le prime creste del punk, a cercare di ricostruire cosa spinse le nuove generazioni di quegli anni a dare vita a linguaggi rivoluzionari, estetiche provocatorie e stili di vita controcorrente. Quella di Marcus è una storia alternativa del secolo breve narrata attraverso le sue avanguardie: un racconto eccentrico e appassionante in cui si mescolano musica e immagini, "Never Mind the Bollocks" e Manifesto dadaista, Saint-Just e Michael Jackson, l'Inghilterra del Dopoguerra e la Parigi del Sessantotto. Con "Lipstick traces" il Saggiatore ripropone un classico della critica musicale contemporanea. Un errabondo viaggio attraverso il milieu elettrico del punk. Un'opera che indaga le connessioni underground tra le decadi, i movimenti e le forme artistiche del Novecento. Il tentativo di rendere il giusto tributo a quei quattro sfrontati ventenni che osarono gridare che Dio non può salvare la Regina, tantomeno noi. Ma che forse l'anarchia, almeno per un po', può provare ad aiutarci.
Il campione e il bandito. La vera storia di Costante Girardengo e Sante Pollastro
Marco Ventura
Libro: Libro in brossura
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2018
pagine: 377
Due uomini in fuga. Uno è Costante Girardengo, il suo viso è grigio come la strada coperta di fango. Ha il berretto, gli occhialoni, i tubolari a tracolla e gli scarpini incrostati di mota, ma la maglia bianca e la fascia tricolore sono inconfondibili, anche sotto la pioggia. Un giorno, prima di passare per la sua Novi, si alza sui pedali e stacca il gruppo per duecento chilometri: la fuga più lunga di sempre. Quel giorno Sante Pollastro, l'altro, lo osserva con il fiato sospeso in mezzo alla folla. Sante nella vita rapina e uccide, si alza sui pedali per scappare dalla polizia e, armato di pistola, spara ai fanali per dileguarsi nel buio. La sua fuga lo porta a Parigi tra criminali e fuoriusciti italiani; le sue amanti sono sarte e cameriere, i suoi compagni muratori e imbianchini, ladri e artisti, anarchici e spie, pronti a passare in un istante dalla fisarmonica al coltello. Costante è stato campione italiano per nove volte consecutive, ha vinto due Giri d'Italia, tre Giri di Lombardia e sei Milano-Sanremo. Le sue gambe strappano le ruote al selciato, la sua bici vola, arriva davanti a tutte le altre a Lipsia, Milano, Grenoble. Costante è il più grande ciclista del mondo. Sante è un assassino, un ladro, e allo stesso tempo un capro espiatorio, un raddrizzatore di torti, un anarchico generoso, un dandy che ruba ai ricchi per dare ai poveri. Sante è il più famoso rapinatore italiano. Sante e Costante sono stati bambini insieme. In un borgo di Novi Ligure hanno sognato di scappare sulla bici, lontano dalla miseria. I loro destini si sono incrociati e divisi su piste di ghiaia e terra battuta, restando intrecciati negli anni della latitanza e dei trionfi. Il racconto della loro amicizia è quello dell'Italia tra le due guerre: una «storia di prima del motore», in cui il ciclismo era fatto da eroi soli; una questione privata tra l'uomo, la macchina e la strada. "Il campione e il bandito" narra il leggendario riscatto di due contadini cresciuti troppo in fretta, in una terra di fame e freddo sprofondata in una nebbia di latte. Una storia in cui il campione è un bandito e il bandito è un campione.
Lo spazio letterario
Maurice Blanchot
Libro: Libro in brossura
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2018
pagine: 303
«Chi scava il verso incontra l'assenza degli dèi»: così Maurice Blanchot dà voce a chi ha avuto il privilegio e insieme la sventura di essere colpito dall'anatema della letteratura. Blanchot scende negli abissi della disperazione di Mallarmé, indaga le contraddizioni di un Kafka annientato dalla solitudine, scandaglia l'infinito mormorio della scrittura automatica surrealista, si smarrisce insieme a Rilke e al suo Orfeo, simbolo dell'orgogliosa trascendenza poetica. Saggio di lapidaria verticalità filosofica, "Lo spazio letterario" si interroga sul significato dell'opera, sull'identità dello scrittore, sull'ispirazione poetica. Enigmi al cospetto dei quali, lo si avverte fin dalle prime pagine, Blanchot lotta come fossero i suoi demoni, con lucida ossessione, e che finisce per consegnare purificati alla loro nuda essenza. Il punto di partenza coincide con quello di arrivo, ovvero lo scacco dello scrittore: l'origine dell'opera è irraggiungibile per chi scrive e il desiderio di avvicinarne il centro diventa vocazione, imperativo, tormento, perché trascina in una regione estranea al mondo e a se stessi. Una regione in cui non si può dire «io», in cui bisogna abbandonare tutto e morire di morte anonima per dare alla luce un'opera che nel suo essere è già altro da sé. Apparso nel 1955 e ora presentato dal Saggiatore in una nuova traduzione e con uno scritto di Stefano Agosti, Lo spazio letterario ha fatto del suo autore la punta di diamante della critica letteraria del Novecento e una figura di riferimento per intellettuali come Barthes, Foucault, Lacan e Derrida. Il suo fascino non manca ancora oggi di spalancare la riflessione sulla scrittura, sul difficile ruolo di chi si trova a duellare con l'impossibilità della parola, a spingersi in quell'esperienza che è incessante ricerca e mai approdo. Cancellato l'autore, destituito il lettore, quel che resta è il silenzio dell'opera.
Il suo ultimo desiderio
Joan Didion
Libro
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2017
pagine: 240
Un'eroina-reporter in bancarotta emotiva, un'ambientazione sospesa tra America e Centro-america, una prosa di filo spinato, un narratore ellittico, un intrigo politico. Ecco Joan Didion al suo quinto e ultimo romanzo, ovvero le variazioni autobiografiche dell'autrice-reporter-saggista divenuta icona attraverso libri come "L'anno del pensiero magico" e "Verso Betlemme", consegnando a uno stile ruvido e nudo la propria epoca e il proprio dolore. La sua scrittura corre sui nervi sfibrati di Elena McMahon - figlia, moglie e madre sull'orlo di un crollo-, giornalista del Washington Post che segue la campagna presidenziale tra pranzi di beneficenza e comitati di quartiere, primarie di partito e grigiori redazionali. Come tutte le donne di Joan Didion, Elena osserva il proprio tracollo. È insoddisfatta e in fuga perenne dal presente e dal passato: dall'orrore vacuo del quotidiano, dalla morte della madre, dalla distanza della figlia, dal padre alcolizzato, gambler di emozioni, capace di mandare in frantumi la vita monocroma della figlia con l'ultimo azzardo possibile. Con la cifra stilistica che è il segno distintivo dei suoi romanzi, Joan Didion imbastisce l'enigma della morte di Elena intorno a molti vuoti, di lacuna in lacuna, senza nessi logici. Un traffico d'armi, l'amore con un agente segreto, e poi il buio. Il quadro rifiuta di ricomporsi, il centro non tiene. La leggerezza di un attimo rivela il peso di una vita intera: cambiano i decenni, non le eroine. "Il suo ultimo desiderio" si muove sul crinale dell'ambiguità, una linea sfuggente che divide una vita e due Americhe, al tramonto della Guerra fredda. Gli Stati Uniti opulenti - che sfilano nei rispettabili interni borghesi, tra le piscine, sui campi da tennis inondati dal sole avvolgente del Pacifico - e gli avamposti imperialisti nel Centroamerica. Uno spazio diviso che grazie a Joan Didion diviene spazio spirituale, teatro delle vanità in cui si dibattono esistenze lacerate, in cui scolora il fantasma di una donna e l'Occidente rivela il proprio cuore di tenebra.