ABE
Storia delle canzoni di pulcinella: 1890-1990
Antonio Sciotti
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 180
Nell'Appendice Documentaria del libro racchiusa in un secolo (1891-1991), escludendo il repertorio tratto dalle commedie di Pulcinella, sono prese in considerazione soltanto le canzoni di Pulcinella composte per il varietà, per la Piedigrotta o per il Festival che, solo in un secondo momento, sono state inserite in una commedia o in uno spettacolo di rivista. In altre parole, l'analisi dell'individuazione delle canzoni di Pulcinella parte immediatamente al fenomeno dell'officina della canzone napoletana voluta dalle case editrici. Infatti, dal 1880, per l'interessamento della casa editrice Ricordi per la musica partenopea, si diffonde in maniera vertiginosa il fenomeno dell'industrializzazione della musica partenopea, grazie al quale oggi, attraverso studi certosini, si può risalire alla maggior parte dei dati per una compilazione di una scheda anagrafica di una canzone: dagli autori all'anno di pubblicazione, dalla prima esecuzione strumentale, vocale e corale al luogo e al contesto dell'esecuzione, al copyright editoriale, ecc. ecc. Questo fenomeno è strettamente legato ai concorsi di Piedigrotta, vere gare canore di canzoni napoletane con tanto di classifica, di premi, di giudizi della critica, di bandi di concorsi, pari a quello che oggi è il Festival di Sanremo. Da questo momento, tutte le canzoni partenopee hanno un palcoscenico sul quale aspirare per raggiungere il successo e su questi palcoscenici sono presentate la maggior parte delle canzoni dedicate a Pulcinella contemplate in questo libro. La passerella antologica dell'Appendice Documentaria inizia nel 1891 con il brano 'O Purcinella, primo motivo piedigrottesco dedicato a Pulcinella presentato da Achille Carrino durante la festa di Piedigrotta, e termina nel 1991 con Pulecenella a Surriento, brano inedito inserito da Bruno Venturini come bonus track nella sua collana antologica dedicata alla storia della canzone napoletana. Quasi tutti i testi delle canzoni vedono l'innamorato che si rispecchia in Pulcinella perché tradito dalla sua amata e solo poche composizioni trattano direttamente la maschera napoletana come personaggio teatrale. E questo perché nel corso dei secoli Pulcinella subisce diverse metamorfosi e tra le più importanti è quella che lo riscatta dalla sua condizione di servo e sciocco che divora solo maccheroni per diventare, di volta in volta, voce del popolo. In lui regnano sentimenti di generosità, altruismo, dolcezza e, a volte, anche di furbizia. Diventa, in questo modo, più semplice per i poeti napoletani scrivere di Pulcinella come dell'innamorato o dell'amico tradito nei sentimenti dalle persone a lui care. Precede l'Appendice Documentaria, la cronistoria delle tre edizioni del Festival del Pulcinella d'Oro (I nuovi motivi di Acerra Canora), istituite per rilanciare la maschera partenopea nel suo luogo d'origine, nonché la cronistoria del Primo Festival Città di Pulcinella, organizzato da Antonio Tagliamonte allo scopo di rilanciare la musica dedicata al primo cittadino di Acerra. Allegata alla cronistoria festivaliera, la sezione delle Istantanee costituita da brevi schede biografiche dei cantanti che hanno preso parte ai festival.
La Duchessa del sale. Eleonora D'Aragona e Ercole I d'Este
Sabato Cuttrera
Libro
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 192
«Ercole si ritrovò alla rotta che Ferdinando ebbe in Sarno, e dicesi che fosse stato tanto vicino a farlo prigione, che gli rimase nelle mani parte della veste di Ferdinando medesimo, la quale poi ei sempre conservò come per un suo immaginario trionfo; ed Ercole infine continuò in quella guerra, che da niuno è stata descritta, meglio, che da Pio II fino al 1463, quando dal prudentissimo suo fratello il Duca Borso venne insieme con Sigismondo in Ferrara richiamato, ed a governi di Modena, e di Reggio vennero ambedue impiegati. Ercole poi fu in altre guerre d'Italia in difesa dello stesso Duca Borso, e de' collegati, ed in una riportò una grave ferita nella clavicola del piede, che per ben due anni il regne considerevolmente incomodato e poi il lascið alquanto zoppo. Ma fra tutto questo tempo fu sempre caro al fratello, e a' suoi popoli, a cui dovea succedere, nella morte di Borso, come avvenne nel 1471: e tale fu Ercole I, che fu data da Ferdinando in isposa ad Eleonora sua figliuola». Michele Vecchioni
Diritto & delitti nel Cinquecento: scene del crimine fra Puglia, Basilicata e Principati del Regno di Napoli tradotti per la prima volta dal latino di Roberto Maranta nella terza parte a Palazzo San Gervasio, Pietragalla e Venosa
Virgilio Iandiorio
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 86
Roberto Maranta nacque a Venosa (PZ) nel 1476, e in questa città lucana morì quasi certamente poco dopo il 1534. Giurisperito molto apprezzato dai contemporanei non solo della sua terra, Roberto Maranta era chiamato dalle varie corti (tribunali) delle città del Regno di Napoli a dare il suo autorevole parere su controversie giudiziarie che erano insorte tra i privati cittadini. Attraverso i suoi 148 pareri quasi vincolanti, raccolti nel libro Consilia sive responsa, edizione postuma del 1591, si può ripercorrere la storia quotidiana della sua città, e di altre del Regno, nella prima metà del XVI secolo. Vita quotidiana fatta di relazioni tra i cittadini, fra le famiglie, e il loro rapporto con le istituzioni locali. Le controversie giudiziarie, con il loro carico di delusioni, ire e talvolta di vendette, ci forniscono elementi sicuri per ricostruire i rapporti sociali nelle comunità del Mezzogiorno di mezzo millennio fa.
Benevento aragonese. Il Ducato del Papa in Regno di Napoli fra 1458 e 1498
Sabato Cuttrera, Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 212
Dopo il sisma del 1348, il tentativo di creare a Benevento una provincia politica fallì e i 36 paesi del Principato Ultra, una volta commissariate le abbazie e cacciati i Catalani, furono inglobati nel Regno, lasciando a Benevento il solo potere politico di una città-stato, coi suoi casali, ma mantenendo quello religioso su tutte le province ecclesiastiche che già possedeva. Fu un passo indietro per le popolazioni dei rioni dei feudi, ma un passo avanti per i cittadini dei borghi regi che possedettero qualcosa in più degli altri regnicoli (costretti ad attendere l'abolizione della feudalità), perché assaporarono in anticipo la globalizzazione, prima di consegnare alla storia una Benevento matura battente bandiera liberale solo quando si liberò dei rettori pontifici che la tennero soggetta fino al 1861. Tanto è vero che, ancora con l'invasione aragonese ci ritroviamo la provincia del Principato Ultra e Citra Benevento, unita alla Capitanata. Nel corso delle vacazio dinastiche, e anche nelle lotte fra guelfi e ghibellini moderni, pertanto, si è appurato che paesi di confine venivano ora annessi, ora distaccati da Benevento. La città, rientrante fra gli stati della Chiesa insieme alla sua provincia ducale, fu da essa distaccata, facendola prima rientrare in Regno, in modo da creare un'altra provincia da annettere al reame. Gli stessi casali continuarono a essere ricostruiti più volte al di qua e al di là di fiumi, monti e castelli, ritrovandosi alcune volte nuclei abitati con lo stesso nome, per l'accanimento dell'ala militare vaticana, rappresentata dal gonfaloniere papalino, prima che l'intera provincia venisse poi annessa al Regno, eccetto le frazioni più prossime. Per tale motivo ritroviamo la Valle Beneventana prima, e poi la provincia di Principato Ultra et Capitanata, nelle mani di capitani di ventura direttamente soggetti ai regnanti la cui sfilza si concluderà con gli Sforza, governatori beneventani della Chiesa e contemporaneamente feudatari del Regno, per rendere il trapasso meno impetuoso. Durante il lungo percorso di assoggettamento temporale dal Papa ai Catalani, ergo dagli Angioini agli Aragonesi, il Pontefice tenterà sempre di ristabilire l'autorità politica sull'intera provincia ecclesiastica. Lo farà senza però mai riavere quella ante terremoto del 1348, lungo l'asse Manfredonia-Lucera-Benevento-Termoli, e si ritroverà col possedere soltanto Benevento e casali, legittimo distretto della Montagna di Montefusco, senza la Vicaria di Ariano. E' chiaro che essendo governatori, ma anche capitani di ventura, agli Sforza farà comodo essere titolari dei feudi di una intera provincia, sebbene rientranti parte nel patrimonio della Chiesa e parte del Regno, almeno fino all'invasione totale degli Aragonesi, benché i Provenzali, a loro volta, mantennero per molti anni la metà del reame nel nome del Re di Francia. Questo libro, senza pretese, intende dimostrare che Benevento non sempre fu Stato della Chiesa.
Apice: il castello, i feudi, le chiese. Volume Vol. 34
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 168
Narrare la storia delle molteplici controversie tra Conti, Duchi, Baroni, Principi e Re, gli eventi, le situazioni, le stragi delle innumerevoli guerre per conquistare Castelli, Città e Terre dei luoghi in cui oggi viviamo è una grande fatica. Un aiuto massiccio però ci viene dalla documentazione delle "Cronache" di Falcone e del Telesino Beneventano, delle "Carte" di Montevergine e del "Catalogo dei Baroni". E' vero. Anche in tali documenti vi sono contraddizioni, oscurità, ripetizioni che non rendono agevole il districarsi tra fatti ed eventi riportati. Di qui la ricerca di conferme, chiarimenti e specificazioni più attendibili in ulteriori documenti nascosti in Chiese, Abbazie ed altri luoghi sacri. Un fatto è certo. Le "Cronache" di Falcone e del Telesino sono una vera e propria miniera di notizie tali da incoraggiare la consultazione da parte dei vari storici locali che meritano l'elogio della maggioranza dei cittadini delle nostre contrade che sono messi a conoscenza della vita dei propri antenati. La storia locale, spesso trascurata dagli storici che vanno per la maggiore che, con spocchia, la catalogano in senso spregiativo come storia "minore", ha un valore inestimabile. Essa mette in condizione ognuno di noi di conoscere non solo le proprie radici, ma soprattutto consente di appropriarci dei comportamenti, spesso eroici, delle popolazioni che ci hanno preceduto nei secoli e che, con imprese, sacrifici e sangue versato, hanno contribuito a consegnarci interi territori. Si tratta della memoria storica dei nostri avi, a cui attingere per proseguire nel solco da loro tracciato nell'attività, nell'impegno, nel contributo che ognuno di noi deve dare per il progresso e lo sviluppo della propria terra. Le realtà locali sono un patrimonio di cultura, di storia, di arte, di fatti ed eventi che devono sempre più essere il baricentro da cui partire per comprendere la storia complessiva della nostra bella Italia. Gli storici "minori" sono veri topi di biblioteca e ricercatori pazienti in Abbazie, Chiese, Comuni, Province, Regioni ed Archivi di Stato. Fatiche che spesso non ricevono il dovuto riconoscimento appunto per un male inteso senso della storia, ma che ottengono il plauso e l'encomio di numerosissime personalità che sanno apprezzare il lavoro certosino di chi pone a disposizione di tutti conoscenze che, altrimenti, rimarrebbero nell'oscurità. Glorie, affanni, tormenti, sconfitte, vittorie, miserie patite dai nostri avi. Gente, popolo, individui, che devono essere sottratti all'oblio che rappresenta uno dei più gravi crimini contro la verità. Ed è la verità dei fatti che diventa viva nella memoria di noi moderni. Memoria che è veramente un qualcosa di divino, che rievoca scontri, situazioni, eroismi, sacrifici degli antenati facendoci sentire accanto a loro, confortati dal ricordo. Aver memoria di avi lontani, consente di affrontare con più consapevolezza i problemi di oggi. La memoria secondo i Greci è la madre delle Muse. Era chiamata mnemosine. Archelao di Piene, nella sua opera "Apoteosi di Omero", la presenta effigiata in luogo d'onore ove, in maestoso atteggiamento, rivolge lo sguardo verso Zeus, padre delle Muse stesse. "Memoria" o "Oblio" sono i corni del dilemma. La prima è preferita, ammirata, amata da tutti gli uomini che rispettano i valori della storia, della cultura e dell'umanità. La seconda, spesso odiata, è apprezzata soltanto dalle anime scialbe e imbelli. E' la memoria storica che affascina il nostro spirito. E' così. La realtà, la vita, degli antichi e lontani avi di Apice, attraverso la memoria, viene impressa con caratteri di fuoco nel nostro animo e nel contempo risorge "attuale" nel nostro pensiero.
Il principe schiavo e donna Giulia principessa rapita. Storie vere di Jean de Prèchac
Virgilio Iandiorio, François Delolme
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 142
"Il giovane Principe di Salerno era ben fatto, aveva molto spirito, conosceva molte lingue, in particolare la Tedesca e la Turca, e riusciva meravigliosamente in tutti gli esercizi atletici. Il Viceré ci prendeva tanto piacere, che quasi non passava giorno che non andasse a vederlo andare a cavallo, e in seguito fu così soddisfatto delle sue buone qualità, che prese la decisione di dargli in sposa Donna Catalina di Haro sua figlia unica, che era un partito dei più ricchi d'Europa, e che già molti principi avevano chiesto in sposa. Nello stesso tempo egli si risolse di dare in moglie la Principessa Giulia a Don Luigi di Guzman6 suo nipote, che era Generale della Cavalleria a Napoli. Il Principe informato di una decisione così vantaggiosa per lui, assicurò il Viceré che avrebbe avuto eterna riconoscenza per la sua bontà. La Principessa, che era una delle più belle donne d'Italia, non fu così docile come suo fratello. Ella aveva una naturale avversione per gli Spagnoli, che simulava con molta pena; ma non nascose più il suo dispiacere, quando apprese che la si destinava ad un Cavaliere di quella Nazione: i suoi genitori presero grandi precauzioni per impedire che il Viceré ne venisse informato, per paura che non cambiasse parere, e che essi non rimanessero privi dei grandi vantaggi che ne verrebbero a tutta la Casata di Salerno, da questo duplice Matrimonio. Si misero in atto tutti gli accorgimenti per persuadere la giovane; le si fece capire molto bene che con la sua resistenza avrebbe rovinato il fratello e tutta la casata. Così senza mutare i suoi sentimenti, ella acconsentì a sacrificarsi per amore del fratello, per il quale provava un tenero affetto. Il Principe, che cercava di far manifesto al Viceré in tutti i modi quanto fosse sensibile dell'onore che gli faceva scegliendolo come genero, si preparò a partire per andare in Spagna a rendere omaggio alla sua Promessa sposa; ma il Viceré lo trattene, assicurandogli che presto l'avrebbe fatta venire a Napoli e che avrebbe avuto cura di avvertirlo, quando sarebbe stato il momento di andare a incontrarla."
Atrani nel 1754. Catasti onciari del Regno di Napoli. Volume Vol. 67
Fabio Paolucci
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 128
"La ricerca storica e genealogica è una materia che mi ha sempre affascinato. Credo non ci sia cosa più appagante che scavare, come un archeologo fa con il territorio, nelle proprie radici familiari e, spesso, non mancano sorprese, ritrovamenti inaspettati, persone e storie che raffiorano in superficie. Non sempre, però, si riesce ad andare a ritroso e, come un sentiero irto di rovi, possono esserci ostacoli lungo il percorso: ostacoli burocratici, documenti andati perduti, danneggiati, omonimie o errori anagrafici che, ahimè, un tempo erano molto frequenti. Ma posso affermare che la pazienza e la sagacia, nel tempo, ripagano sempre come, peraltro, mi è spesso successo nelle mie ricerche genealogiche. Come rivela il cognome che porto, e come scoprirete leggendo le pagine di questo libro, ho origini atranesi da parte paterna. Il cognome Proto era, ed è ancora oggi, se non il primo tra i primi tre cognomi più diffusi nella piccola Atrani. Mio padre nacque ad Atrani, così come suo padre e il padre di suo padre sino ad arrivare al mio avo Crescenzo Proto, citato nel Catasto Onciario del 1754, un marinaio di 45 anni. Da ciò che ho potuto scoprire nelle mie ricerche, tutti i miei avi atranesi, giungendo fino al mio bisnonno (vissuto nei primi decenni del '900), furono marinai o "barcaioli". Io che sono nato in città, Salerno, ricordo con piacere quando da bambino, durante le stagioni estive, i miei familiari mi portavano a trascorrere del tempo, in villeggiatura, ad Atrani. E ho sempre sentito, e sento tutt'oggi, che quel borgo un po' mi appartiene. Ed Atrani è sempre rimasta la stessa, così com'era nel 1754 così è oggi, un piccolo borgo marinaro adiacente la ben più famosa Amalfi. Le storie di entrambi i borghi si intersecano tra loro sin dal primo Medioevo e, per un breve periodo (tra il 1929 e il 1945), Atrani fu accorpata al Comune di Amalfi per poi ritornare comune autonomo qual è ancora oggi. Altra materia che mi affascina è la ricerca toponomastica: i nomi antichi dei luoghi, delle vie, viuzze e vicoli, che nel corso del tempo hanno cambiato denominazione. E nel catasto onciario, oltre ai nomi ed i cognomi, i soprannomi se presenti, i mestieri e le rendite delle varie famiglie, si possono trovare anche le vecchie denominazioni di strade e luoghi. Leggere un'onciario è come un viaggio nel tempo: nomi di famiglie, di luoghi, di mestieri impressi sulla carta. Una fotografia del tempo, utile sia per la ricerca genealogica sia quella toponomastica." (Luca Proto)
La massoneria di via Posillipo: Lauberg e la società patriottica. 1792-1793
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 144
Furono le sette napoletane seguite alla fallita cospirazione del 1794, in cui si erano trasformate le società patriottiche, a sperare nel vano aiuto della flotta francese, ferma nel porto di Napoli. Fallimento dovuto alle spie, dichiaratesi pentite a seguito degli arresti, onde evitare la decapitazione, ma che finirono ugualmente in uno dei 493 processi che si tennero in tutto il Regno, fino al 1798. Vero è che fin dal 1790 si assiste a qualcosa di diverso, insito nel popolo e nei regnanti, che primeggia come una voglia di autonomia. Da una parte il Re, che si stacca definitivamente dal papa, rifiutandosi di continuare l'atto di vassallaggio della chinea; dall'altra il popolo. Ma le paventate congiure giovanili, divenute organizzate con la cacciata dell'ambasciatore republicano dei francesi a fine 1792, divennero il pane quotidiano anche degli intellettuali. Indubbiamente tutto ciò è legato ai venti di rinnovamento che spirano in Europa e che porteranno il Re a lasciare Napoli nel dicembre del 1798, in quella che spesso viene definita come la fuga a Palermo. Ma non è neppure quello l'inizio della breve Repubblica Partenopea in quanto sarà preceduta dal breve ma intenso movimento di Anarchia popolare dei Lazzaroni. Ecco perchè nel decennio della Rivoluzione Napoletana non vi fu una sola rivoluzione per destabilizzare il potere dei sovrani, quanto più atti rivoluzionari che, nel bene o nel male, finiranno con lo stabilizzare tutti. Tolti quindi i primi anni delle società patriottiche influenzate dalla massoneria inglese, si può dire che una vera rivoluzione, fomentata dai francesi fra il 1792 e il 1793, avvenne nel 1794 e si prolungò al 1798 per contrastare arresti e processi. In questi due lustri, fra la prima e la seconda metà degli anni Novanta del 1700, accaddero più cose: l'inizio della fine della feudalità, a cominciare da quella del Papa verso il Re; l'inizio delle congiure organizzate, come questa, filofrancese, del 1794; l'inizio delle rivolte sociali che portano all'Anarchia; l'inizio di una prima Repubblica. Abbiamo quindi scisso le diverse fasi di una stessa epoca, che è poi quella ispiratasi alla Rivoluzione francese, perché essa ha più di un avvio e di una fine: la Riorganizzazione del Regno (1789-1792), la Società Patriottica (1792-1793) di ispirazione massonica scoperta e evolutasi in sette, le Sette Segrete (1793-1794) come l'inizio delle Rivoluzioni Napoletane (1794-1798), l'Anarchia Popolare (1798-1799), la Repubblica Partenopea (1799) che lascerà il testimone di un'epoca alla Restaurazione borbonica del xix Secolo. L'idea di Carlo Flaubert del 1793 è da ascriversi non alla parentesi pre-anarchica vissuta dal Regno di Napoli, ma a quella pre-rivoluzionaria. Con Flaubert, cioè, siamo ancora alla lotta politica e non a quella armata fomentata dai fracesi, che è la continuazione di un esperimento di rinnovamento politico e sociale, iniziato dal Principe di San Severo, chiamato Massoneria. La Loggia di Posillipo, divisa in club, privati e anonimi, non più riconosciuta dallo stato, fu espressione libertaria di giovani politici, matematici e paglietta, durata troppo poco per essere ascritta alla congiura, sua naturale conseguenza. I club politici non ressero nemmeno un anno, per essere identificati come scintilla della Repubblica Partenopea, che ebbe miccia solo dopo l'anarchia popolare che fece fuggire il Re, seguita alla rivoluzione, la risposta armata delle sette segrete di sola ispirazione francese. Esse sono da far rientrare in una sorta di congiura autonoma, dove i rivoluzionari vennero arrestati e processati dallo stato, grazie alle spie borboniche. Ecco perché le sette andrebbero da annoverarsi in una Rivoluzione Napoletana di quegli anni che anticipò l'Anarchia Popolare dei Lazzaroni, quella sì, fomentata dalle navi inglesi, tornate nel porto di Napoli a raccogliere il seme massonico del patriottismo, scippato dai francesi.
Frattapiccola nel 1753. L'antico casale San Sebastiano di Frattaminore di Napoli
Arturo Bascetta, Sabato Cuttrera
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 112
È l'estratto del catasto onciario con tutti i nomi degli abitanti i mestieri, le strade e le chiese intorno alla congrega di San Maurizio, Croce, Trivio, S.Angelo, ma anche S.Simeonoe, Pomigliano di Atella e altri casali come Viggiano, Arco Parrocchia, Forno Pardinola e Forno Crispano. Il libro, inoltre riporta i nome dei preti, delle vergini, insomma di tutti gli abitanti anche delle località minori come Merola, Spagnuolo, Mandiello, Lampaì, Starze, Quattro vie, Castagno, Pizzo Mastro Aniello e Pizzo Marcangelo, Vicolo Capoziello.
La cospirazione giovanile di Napoli: Albarelli e il fallimento liberale. 1793-1794
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 144
Gli anni che vanno dal 1789 al 1799 vengono identificati come il decennio della Rivoluzione Napoletana che si fa nascere con la Rivoluzione Francese e morire con la Repubblica Partenopea. In realtà la Francia, prima della morte di quel re, non ebbe alcun peso sulla stabilità del Sud, giungendo gli effetti giacobini solo con la nascita della Repubblica. Furono le sette napoletane seguite alla fallita cospirazione del 1794, in cui si erano trasformate le società patriottiche, a sperare nel vano aiuto della flotta francese, ferma nel porto di Napoli. Fallimento dovuto alle spie, dichiaratesi pentite a seguito degli arresti, onde evitare la decapitazione, ma che finirono ugualmente in uno dei 493 processi che si tennero in tutto il Regno, fino al 1798. Vero è che fin dal 1790 si assiste a qualcosa di diverso, insito nel popolo e nei regnanti, che primeggia come una voglia di autonomia. Da una parte il Re, che si stacca definitivamente dal papa, rifiutandosi di continuare l'atto di vassallaggio della chinea; dall'altra il popolo. Ma le paventate congiure giovanili, divenute organizzate con la cacciata dell'ambasciatore republicano dei francesi a fine 1792, divennero il pane quotidiano anche degli intellettuali. Indubbiamente tutto ciò è legato ai venti di rinnovamento che spirano in Europa e che porteranno il Re a lasciare Napoli nel dicembre del 1798, in quella che spesso viene definita come la fuga a Palermo. Ma non è neppure quello l'inizio della breve Repubblica Partenopea in quanto sarà preceduta dal breve ma intenso movimento di Anarchia popolare dei Lazzaroni. Ecco perchè nel decennio della Rivoluzione Napoletana non vi fu una sola rivoluzione per destabilizzare il potere dei sovrani, quanto più atti rivoluzionari che, nel bene o nel male, finiranno con lo stabilizzare tutti. Tolti quindi i primi anni delle società patriottiche influenzate dalla massoneria inglese, si può dire che una vera rivoluzione, fomentata dai francesi fra il 1792 e il 1793, avvenne nel 1794 e si prolungò al 1798 per contrastare arresti e processi. In questi due lustri, fra la prima e la seconda metà degli anni Novanta del 1700, accaddero più cose: l'inizio della fine della feudalità, a cominciare da quella del Papa verso il Re; l'inizio delle congiure organizzate, come questa, filofrancese, del 1794; l'inizio delle rivolte sociali che portano all'Anarchia; l'inizio di una prima Repubblica. Abbiamo quindi scisso le diverse fasi di una stessa epoca, che è poi quella delle rivoluzioni, perché ha più di un inizio e più di una fine: la Riorganizzazione del Regno (1789-1792), la Società Patriottica (1792-1793), le Rivoluzioni Napoletane (1793-1798), l'Anarchia Popolare (1798-1799) e la Repubblica Partenopea (1799) che lascerà il testimone di un'epoca alla Restaurazione borbonica del xix Secolo. L'idea di Carlo Flaubert del 1793 è da ascriversi non alla parentesi pre-anarchica vissuta dal Regno di Napoli, ma a quella pre-rivoluzionaria. Con Flaubert, cioè, siamo ancora alla lotta politica e non a quella armata fomentata dai fracesi, che è la continuazione di un esperimento di rinnovamento politico e sociale, iniziato dal Principe di San Severo, chiamato Massoneria. La Loggia di Posillipo, divisa in club, privati e anonimi, non più riconosciuta dallo stato, fu espressione libertaria di giovani politici, matematici e paglietta, durata troppo poco per essere ascritta alla congiura, sua naturale conseguenza. I club politici non ressero nemmeno un anno, per essere identificati come scintilla della Repubblica Partenopea, che ebbe miccia solo dopo l'anarchia popolare che fece fuggire il Re, seguita alla rivoluzione, la risposta armata delle sette segrete di sola ispirazione francese. Esse sono da far rientrare in una sorta di congiura autonoma, dove i rivoluzionari vennero arrestati e processati dallo stato, grazie alle spie borboniche.
Maschiito degli Albanesi. Masquit e altre colonie arbereshe nel venosino. Profilo storico sulle comunità albanesi stanziate dagli aragonesi
Virgilio Iandiorio
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 158
E se provassimo a guardare le comunità albanesi che si insediarono ai piedi del Vulture, non dal monte verso il mare Adriatico, ma all'inverso? Voglio dire, abbandonando il punto di vista di chi vede forestieri giungere nella terra che abita, e che hanno abitato i suoi antenati? Probabilmente qualche luogo comune, o, se volete, qualche pregiudizio consolidato nel tempo, non avrebbe più valore assoluto. E le domande che gli storici si sono poste sulle motivazioni che hanno spinto ad emigrare la popolazione albanese dell'altra sponda del "Mare Superiore" (come veniva indicato in passato l'Adriatico) non possono essere ricondotte solamente alla fuga dalla conquista ottomana della penisola balcanica. «La nazione Albanese merita per ogni riguardo che richiami l'attenzione de' filologi d'Europa, e se lungamente rimase obbliata è di giusto ancora che prenda nella storia quel posto che le è dovuto. Se le lettere possono arricchirsi di utili scoverte, la storia può aggiungere la pagina di un grande popolo. Slanciati sui monti Acrocerauni come avanzi di un gran naufragio son rimasti da più secoli chiusi alle ricerche della scienza. Chi son essi? Donde vengono? - Ecco ciò che la storia non ha potuto mai indagare. In mezzo alle nazioni moderne essa non ha nulla di simile con le altre. Con un'impronta tutta propria d'indole, di costumi, di usi, e fiera di una lingua originaria e primitiva, che non ebbe modelli né fu madre ad alcuna, risuona come una debole rimembranza di tempi perduti. Verrà forse un giorno che questa nazione potrà comparire con splendore nella storia del mondo, e deporvi il germe di antiche verità. Chi sa che non sia uno di quegli avanzi dei cataclismi della natura che passarono come torrenti sulla terra, e li spinsero obbliati in un angolo di riva? Simile alle loro canzoni che s'innalzano con voce lunga e s'odono più miglia in lontananza, ti scende nell'animo il racconto delle loro avventure, e ti risveglia idee di un nuovo mondo di cui si è perduta la memoria» 1 . Gli immigrati Albanesi discendono, secondo una accreditata tradizione storiografica, da comunità venute dall'Albania in diverse ondate, fra la metà del secolo XV e il secolo XVIII. L'ultimo insediamento albanese fu quello di Brindisi di Montagna in provincia di Potenza nel 1774. Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia le regioni dove si stabilirono, per sfuggire l'occupazione turca, ma anche perché chiamati dai sovrani per l'aiuto in guerra e dai feudatari del Regno di Napoli per colonizzare o ripopolare le terre non troppo generose dell'Appennino meridionale. Maria Antonietta Visceglia2 trattando delle immigrazioni albanesi in Puglia, spazia oltre il sec. XV e parla di un primo flusso nel 1272, di altri due successivi nel 1327 e nel 1396. Questo, a ben considerare, mette in discussione la tesi delle migrazioni albanesi a causa dell'occupazione turca della penisola balcanica. V. I.
Pupe e pozioni per re Ladislao. Spose e veleni che uccisero il sovrano di Neapulia nel 1414
Arturo Bascetta, Sabato Cuttrera
Libro
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 96
LADISLAO RIPUDIA LA REGINA COSTANZA - Degradata a Contessa d'Altavilla e di Sepino - La Regina madre affida il «bastone» al figliolo - La riconquista di Ladislao: i Giustizierati - Raimondello si schiera contro il Regno - Costanza resta col Conte, il Re si risposa - La ferocia dei Durazzo: macchiati madre e figlio - Raimondo era a Lecce fin dalla morte di Carlo III CAPITOLO II IL RE DEI MAGNATI DI «NEAPULIA» - La conquista di Taranto: la vicaria del Principe - Ladislao è su 3 troni e riacquista Raimondello - Il Re si riposa a 17 anni con Maria di Cipro - Uccisi i Sanseverino, Taranto al vicario di Matera - Raimondello e Maria da Gonfalonieri a Principi - Addio a Matera vicaria del papa per Taranto - Ladislao Re dei poveri in s.Stefano à Partenope - La morte improvvisa del Principe Raimondo - Il Re assedia Taranto per avere un altro trono - Il Principe Giannantonio e il Principe Gabriele - LA PESTE E L'ESILIO DELLA MADRE - 1410, torna il Regno di Sicilia a Castelnuovo - Magliano di Capitan Villanuccio, Conte di Sarno - L'erede mancato: l'abate Ranaudo di Durazzo - Gli uomini più fedeli della vecchia Regina - Così si spensero i reali che riunificarono l'Italia - Peste a Salerno: muore Margherita e poi il Re - E' una tragedia la morte del giovane sovrano - Ladislao ucciso da un lento veleno.