SE: Testi e documenti
Lettere, riflessioni, testimonianze
Jackson Pollock
Libro: Libro in brossura
editore: SE
anno edizione: 1991
pagine: 151
"I limiti dell'opera di Pollock sono i limiti stessi del moderno, e insieme i suoi titoli di nobiltà. Pollock rappresenta anzi l'esito finale della pittura moderna: del filone, cioè, che da Cézanne e da Kandinsky, lungo i decenni del secolo, ha lavorato entro i confini della pittura, mentre Duchamp e l'arte concettuale li eludevano, corteggiando la realtà e l'oggetto. Proprio per questa sua radicalità, Pollock è stato un artista che non ha avuto allievi, ma epigoni, non continuatori, ma imitatori. L'unico suo vero erede è stato lui stesso: nelle sue ultime opere tentava di riaprire quella partita che prima aveva chiuso, tentava di riprendere il discorso oltre quel punto fermo che proprio lui aveva segnato." (Elena Pontiggia)
Monsieur Teste
Paul Valéry
Libro: Libro in brossura
editore: SE
anno edizione: 2026
“L'ascendenza cartesiana di Teste non ha bisogno di essere provata. Valéry stesso si riferisce più volte al suo eroe come al «mio cogito» [...]. L'operazione di Valéry è, però, ben più che una semplice ripresa dell'esperienza cartesiana del cogito. La ripresa che egli attua è, infatti, nello stesso tempo, una decostruzione, in virtù della quale ciò che era un principio e un fondamento diventa una finzione teatrale e un limite impossibile. Più volte Valéry insiste sull'aspetto funzionale e operazionale del suo «ego» contro ogni rischio di sostanzializzazione. Ciò che egli cerca - leggiamo in un passo che documenta la nascita stessa del sistema di Valéry - è «spingere all'estremo la funzione dell'Io, e non la sua personalizzazione» [...]. E allora evidente che il suo «ego» - a differenza di quello di Descartes, che si è «lasciato incantare dallo sguardo di Medusa del verbo Essere» - non può aprire alcun varco sull'essere. Al «penso, dunque sono» cartesiano, la testa oracolare che Valéry situa nell'isola immaginaria di Xiphos (che potrebbe ben essere la patria di Teste) oppone il suo: «io non sono; io penso».” (Dallo scritto di Giorgio Agamben)
Le sette principesse
Nezamî di Ganjè
Libro: Libro in brossura
editore: SE
anno edizione: 2026
«Un giorno il Principe era venuto dalla campagna e s'aggirava lieto nel Khavarnaq quando vide una stanza chiusa, il cui custode s'era salvato da ogni sua ricerca. Il Principe non aveva mai messo piede in quella stanza e così anche i suoi cortigiani e i tesorieri. Chiese: "Perché questa dimora è chiusa e serrata? Dove è il custode e dove la chiave?". Venne il custode e consegnò la chiave al Principe, il quale, aperta la serratura, che vide? Vide una dimora come uno scrigno di tesori, così che l'occhio che la rimirava diveniva pesatore di perle, più bella di cento gallerie di Cina, con disegni sceltissimi; tutto ciò che esisteva di lavoro fine e sottile era disegnato sui muri di quel padiglione. V'erano sette effigi splendidamente dipinte, ciascuna connessa con un continente del mondo. [...] In un ampio circolo ricurvo queste sette effigi erano state dipinte da una sola mano; ciascuna, con mille bellezze, illuminava la sostanza della luce della vista. E nel mezzo di quel circolo il pittore aveva effigiato una forma delicata, che era, rispetto alle altre, come il nocciolo rispetto alla corteccia; un giovane adolescente con perle sparse alla cintura, con una tenera peluria profumata sul volto di luna, come cipresso eretto con la testa fiera, tutto d'argento dalla corona alla cintola e quelle belle tutte rimiravano lui, ognuna innamorata di lui: lui sorrideva a quelle bambole ed esse tutte lo servivano e lo adoravano. Sul capo lo scrivano della sua effigie aveva scritto un nome: Bahram Gur!, e aggiungeva che il destino dei sette pianeti aveva deciso che questo possente sovrano, quando si sarebbe manifestato, avrebbe preso nel suo abbraccio come perle uniche le sette principesse dai sette continenti. "Non noi" si diceva "seminammo per volontà nostra questo seme, ma solo dispiegammo quel che mostrarono gli astri; dicemmo affinché sia dimostrato il pensiero, ma il dire viene da noi, l'agire da Dio"».

