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ABE: Donne reali e uomini d'arme

Bona di Savoia, la ducissima di Milano: l'orfanella, l'eredità degli Sforza e il voto a Firenze

Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 132

Nobildonne, rapporti epistolari e comparaggi negli stati preunitari. Volendo dare un incipit a questo testo di storia pura, l'autore non poteva che partire dall'albero genealogico dei Savoia, rinvenuto in un manoscritto dalla copia inedita, inserito nelle ultime biografie trattate in collana. Ma non solo. Si riparte anche da Francesco, figlio del fu Muzio Sforza, capitano del Regno di Napoli, giunto da Cotignola per mostrare il suo ardire e il suo ardore verso la Regina Giovanna, portando a casa feudi e castelli dotali per sé e per i figli. Si può quindi tranquillamente affermare che gli Sforza beneventani furono cugini stretti del Duca di Milano, possedendo gli imprendibili castelli sui passi dell'enclave papalino che costarono il Regno a Re Renato d'Angiò. E' quindi da Francesco che nacque anche la progenie Sforzesca di Milano per aver saputo farsi spazio a corte, fra una cavalleria e un ammiccamento con Bianca Visconti, dalla quale ebbe tutta l'eredità degli Stati lombardi, a danno dei familiari, già sul piede di guerra. Fu questo forse il motivo per cui il piccolo Galeazzo non era nemmeno nato che la mamma provvide a lanciarlo sul mercato più vicino, quello di Mantova, designando per amata duchessina del figliolo la bella e intelligente, nonché poetessa acculturata dei Gonzaga, Dorotea dagli occhi bianchi. C'è da dire che fra i due pargoli nacque anche l'amore pure, sbocciato nell'istinto amoroso adolescenziale, fra lettere, bacini e lacrime d'amore. Accadde però che Bianca intravide nel figlio la speranza di poter presto riunire in qualche modo la famiglia Viscontea per evitare guerre, immaginando di dare il figlio, come suggeriva l'astuto e arguto marito Duca, nelle mani di ben più ricco e nobile signoria. Da qui la separazione epistolare, struggente, fra gli amanti per sospetti sulla verginità della dama dagli occhi bianchi, voltando pagina per gradimento della Padrona di Milano, affinché Galeazzo sposasse il partito Savoiardo, impalmando l'orfanella rimasta in casa del Duca Amedeo: la bella Bona. E così ecco Bona già pronta a frequentare la corte sforzesca, mentre la cognata diventa Duchessa di Calabria e la cometa di Halley non preannuncia nulla di buono: solo il sisma e la peste. Ma Galeazzo è l'erede e Bianca è la sposa, anche se non piace a tutti in Casa, che Amedeo di Savoia gli porta sull'altare il 6 luglio 1468. Da qui l'amicizia fra casate sempre più influenti degli Stati Italiani preunitari, arrivando a Firenze, per raggirare le difficoltà sopraggiunte a Napoli. Ma se mancano i soldi l'astuzia di Bona provvederà a trovarli. Le lettere con Lorenzo de' Medici rappresentano la prova della corrispondenza privata fra le famiglie al fine di ottenere soldi, tanti soli, in prestito certamente, offrendo banchetti e battesimi di comparaggio, e le insegne ducali. Spunta così il voto fatto da Bona alla Madonna di Firenze e il viaggio organizzato dal marito, con pifferi, musici e poeti, con l'intera corte milanese al seguito, il tutto in onore della moglie. Il programma fu impostato per aprile del 1471 e uno stuolo di nobili timorosi dell'invasione veneta e affamati di potere entrò in Firenze il 1 maggio, per la sfilata delle carrette milanesi. Festa fatta, prestito avuto, alleanza stretta, non resta che tornare a casa per la via di Lucca, Genova e Pavia, donando qualche Terra faentine ai nipoti di Papa Sisto e sedendosi a tavolino per passare a stringere nuovamente i rapporti con i Napoletani. Stavolta sarà il biondo e virile Giangaleazzo a sposare Isabella d'Aragona, riportando soldi e allegria in Casa degli Sforza e dei Savoia, prima del terribile epilogo che quattro anni dopo insanguinò la Basilica di Santo Stefano a coltellate, strappando a Donna Bona l'amato figliolo.
44,00

Una mamma per regina. Ferdinando III marchesino di Bisceglie e Isabella del Balzo da Venosa

Una mamma per regina. Ferdinando III marchesino di Bisceglie e Isabella del Balzo da Venosa

Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 154

Il giovane Vicerè Fernando d'Aragona, figlio di Federico III di Napoli e Donna Sabella del Balzo, era stato vittima dello scontro fra Spagnoli e Francesi per il predominio del Sud. Dopo il successo del Gran Capitano Cordova, tradotto anch'egli prigioniero a Valencia (1503), fu confinato nel Castello di Xàtiva, vedendo decaduti tutti i suoi titoli, da quello di Marchese di Bisceglie a quello di Viceré del Regno di Sicilia. La Reggia di Valencia era fra le più lussuose di Spagna, già ammirata dal tedesco Jerome Münze durante la sua visita del 1494, per la bellezza dei giardini e del palazzo con una miriade di stanze, poi modificate in meglio per la presenza stabile dell'ex Corte napoletana. Questi parenti, anche se non ebbero una grande influenza sulla Corte, rappresentarono, con il loro lignaggio e i loro costumi, la forte influenza straniera di matrice rinascimentale. Poco dopo il matrimonio a Segovia con la Regina Isabella del Portogallo (figlia di Maria e quindi nipote del fu Re Ferdinando di Spagna), nel 1523, l'Imperatore Carlo V liberò Fernando III dalla vicina prigione di Xativa e, nel concedergli la mano della matrigna Germana, lo elevò a Vicerè in Valencia. Il 28 novembre del 1526 Fernando di Napoli entrò in città da Porta San Vicente verso la Cattedrale, dove giurò solennemente per il suo ufficio. Per l'occasione vi sarebbe giunta anche la mamma Isabella, la quale, dopo l'esilio in Francia e la morte del marito a Tours, trascorse il resto della sua vita a Blois. Con l'ex Regina di Napoli giunsero a Valencia le infanti Julia e Isabella, Marcia Falconi (che aveva allevato il Duca e i suoi fratelli), Beatrice de Rufelli, Giovanna Calva, Giovannella di Penya e altre dame che l'avevano servita nel Palazzo di Blois dopo la morte del marito Federico I. Con due prestigiosi e colti Sovrani come la Viceregina Germana di Foix e suo marito, il Palazzo Reale di Valencia divenne il centro nevralgico del Regno, ma non mancarono le polemiche verso Germana, ricordata per la dura repressione dei Germanias ai tempi del Cattolico. Ricominciava qui, esiliato dal mondo, la vita del Marchesino di Bisceglie che aveva seguito la madre Regina Isabella del Balzo durante il suo lungo viaggio per l'incoronazione, da Barletta a Napoli. Fu lui l'ultimo blasonato della casata d'Aragona di Napoli, Ferdinando III, fatto fuori dallo zio Cattolico e dai Francesi, con la divione in due del Regno di Napoli. Fu proprio lui che tentò il colpo finale sposando la vedova dello Zio Cattolico, la Regina Germana, nella speranza di essere reintegrato presto nel suo Regno di Napoli, proprio quello che più non vide.
39,00

Ludovico I D'Angiò, l'erede al trono che lasciò la corona: Napoli angioina in ostaggio dei catalani

Ludovico I D'Angiò, l'erede al trono che lasciò la corona: Napoli angioina in ostaggio dei catalani

Sabato Cuttrera

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 132

1. FIGLIO A CARLO I E A MARIA D'UNGHERIA - Re Carlo I d'Angiò: il nonno «Carlotto» - Maria degli Arpad: la madre - Carlo II Principe detto lo Zoppo: il padre - Luigi I Duca Durazzo; lo zio scomparso dalle carte - Nato nel Palazzo della Corte di Nocera o Lucera? 2. NATO NEL CASTELLO DI «NUCERA» - Carlo, Luigi, Roberto e Filippo: tutti figli nocerini - I Principini fra le mura di una Nocera - Con la madre in Provenza dal 1282 - Il padre prigioniero perde isole e flotta - La madre libera gli Svevi: lo scambio fallisce - Il nemico libera il Re, ma con Luigi ostaggio 3. ALL'INCORONAZIONE DEI GENITORI - Nel reame senza sovrani alla morte del nonno - Carlo è libero, i figli restano prigionieri - Incoronazione a Rieti, viaggio in Assisi - Nocera e Salerno passano a Carlomartello 4. L'EREDE UNIVERSALE DI 4 REGNI - Carlomartello Re d'Ungheria: il primogenito - Luigi erede d'Ungheria prima di Caroberto - Il Papa fa tosare Luigi alla presenza dei due Re - Carlo il Senzaterra fu Re Carlo II? - Niente porpora, sì ai frati: la rinuncia al reame - Trattato d'Anagni: regno a Roberto, via Luigi - L'ex Principe era erede universale dal 1295 - Il frate possessore della Madonna di S.Luca 5. ROBERTO PREDESTINATO DAI CATALANI - La liberazione e i nuovi equilibri: Pace di Anagni - A Giacomo solo le isole, ma erede sarà il genero - Carlo è libero se si ritira il primogenito vivente - I sogni di Luigi ceduti al suocero di Roberto - Luigi, vescovo improvviso a soli 21 anni - L'arrivo a Tolosa: la cattedra vescovile - La rinuncia al titolo e la morte a Brignoles 6. SANTIFICAZIONE E DIFFUSIONE DEL CULTO - Il testamento dei poveri: libri ai frati - L'elevazione a santo decisa dal padre - Le reliquie distribuite dalla madre - La traslazione e il reliquiario napoletano - La ricompensa di Roberto: le intitolazioni - La Regina Margherita non fu figlia di S.Luigi - Le reliquie traslate a Marsiglia da Sancia - Il mito alimentato da s.Francesco da Paola - L'orto di San Luigi: cent'anni dopo - L'ultimo viaggio da Marsiglia a Valenza
30,00

Galeazzo Sforza, il Dittatore di Milano. Breve vita del duca che pretese il saluto romano dai lombardi

Galeazzo Sforza, il Dittatore di Milano. Breve vita del duca che pretese il saluto romano dai lombardi

Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 216

Questo libro è il frutto della continua ricerca portata avanti dagli autori della ABE sui cronisti che raccontano i fatti da contemporanei. Dopo diverse biografie fiorentine non poteva mancare il seguito alla Casata degli Sforza, originata da un colpo di mano ai danni dei Visconti che trasferirono il patrimonio di famiglia al capostipite Francesco, sposo di Bianca, ultima erede di Milano. Il prologo sulla nonna perugina, Lucia Tarzana da Torgiano; sul padre, Cavaliere alla corte dei Visconti; sulla madre Bianca, l'erede di Milano; sulla sorella Ippolita, sposina del Duca di Calabria, che di ferocia fu maestro; spunta finalmente il nome di Galeazzo, duchino crudele. Con tali premesse, alla morte del padre, Galeazzo si liberò gradualmente della madre, in quegli anni in cui la cometa di Halley, fra sisma e peste, non preannunciava nulla di buono. L'ultimo viaggio a Napoli fu fatale al genitore e provocò l'esilio di Bianca a Cremona, subito dopo il matrimonio con Bona di Savoia, sorella del beato Amedeo e orfanella di quel Ducato. Da qui lo scontro velato con la madre, a colpi di veleni, nell'aria e nella minestra, che videro più volte preoccupata la sorella Ippolita, tornata da Napoli più volte, fino per assisterla in punto di morte. La vecchia Duchessa muore quasi nelle sue braccia: ma fu vero veleno? Fatto è che senza l'ultima dei Visconti i nemici crebbero in casa e anche fuori: la sorella fu quasi espulsa da Napoli con tutta la sua corte milanese al seguito; e i Veneziani si spinsero fino a Bologna, stuzzicati da Zio e Sforza fratello, passati col nemico, in uno scenario di guerre-lampo, dentro e oltre Italia, che portarono alla Battaglia di Negroponte vinta dai Turchi. Nascono, e nel mentre crescono, Giangaleazzo ed Ermes, con Elisabetta presto sposa di Ercole d'Este. Sono eventi che rafforzano il Duca, illuso dai Francesi e pronto a scippare Firenze a Napoli, con la storica sfilata delle carrette milanesi in viaggio verso il Palazzo che fu di Cosimo dei Medici, dove i duchi ebbero ospitalità e meraviglie, percorrendo la Toscana in lungo e in largo. Il Duca, del resto, fu costretto a sfidare lo Zio, passato nelle fila del Marchese, e perciò a ostentare sfarzo a tutti, per poi tornarsene a casa per la via di Lucca, Genova, Castelletto e Pavia. Fu l'occasione per stilare una serie di intrecci sulle Terre faentine, date ai papalini di Sisto, preparando la dote per le nozze della figlia Eleonora con Ercole d'Este, quella dello storico pranzo allietato da musici e teatranti, ma anche lo sposalizio del figlio Giangaleazzo con Isabella di Napoli. L'addio per il cognato Amedeo di Savoia e il sisma, ritornato fra Adda e Ticino, sono il presagio all'orgoglio di chi vorrebbe diventare Re di un reame proprio, quello che trasformò subito il Duca in Duce, con l'avallo dell'Imperatore e tanto di saluto romano. Il gioco fu però scoperto da frà Pietro da Roma. Da qui l'incubo del veleno, che il Cardinale avrebbe ordinato ai Veneziani, da somministrare al padre padrone di Milano, dopo gli strani matrimoni combinati messi su dalla Duchessa per i figli. Al di là della discussa immunità concessa al segretario Colletta, le nozze di Biancamaria e il rapimento della cognata Duchessa di Savoia, altra verve giunge in casa Sforza, fino alla congiura vera e propria, ordinata dagli ex parenti e che si concluse con il tragico fatto di sangue consumatosi in S.Stefano. Qui il Dux venne assassinato dai Visconti e Giangaleazzo, eletto successore a 8 anni, fu costretto a sposare la cuginetta, orfanella napoletana, dopo la morte di Donna Ippolita, Regina senza corona che lasciò vedovo il crudele Alfonso II. Ma il potere degli Aragonesi di Napoli fu tutto in discesa rispetto ai venti che soffiavano dalla Spagna quando l'erede Giangaleazzo sposò fiero «Isabelletta», ignaro di finire nella trappola dei parenti, divenendo presto prigioniero del Moro in quel di Pavia...
44,00

Isabella d'Aragona e Giovan Galeazzo Sforza: donna Sabella e l'eredità del duca Giovanni

Isabella d'Aragona e Giovan Galeazzo Sforza: donna Sabella e l'eredità del duca Giovanni

Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 176

Il 1° febbraio 1489 la giovane e bella napoletana fu accolta nel castello milanese e si celebrò il matrimonio. I festeggiamenti pomposi erano questa volta uno scherno: ed Isabella si trovò infelice dove avrebbe avuto il diritto d'essere rispettata ed amata. Il Moro quando cominciò a sospettare che Isabella fosse incinta, raddoppiò la guardia intorno al Duca, quasi prigione nel castello di Pavia. Isabella era donna coraggiosa e saggia, ma suo marito Gian Galeazzo, se era d'indole mite ed egregia, se era animato da buoni sentimenti, tuttavia mancava d'ingegno, e d'abilità nell'esercizio degli affari. In ciò sta la spiegazione della possibilità del tradimento del suo tutore, ed in ciò consiste pure la scusa ch'egli adduceva a quelli che gli avessero domandato conto di quanto faceva. Lui era il passato e l'avvenire, ma non seppe sfruttare i suoi tempi, né capire dove andasse il mondo. Se avesse avuto un raggio soltanto del genio del suo omonimo Visconti, la storia avvenire di Milano ed insieme forse quella di tutta Italia sarebbe stata diversa. Isabella scrisse a suo padre ed all'avo implorando soccorso: ma la sua lettera non ebbe altra conseguenza che di dividere sempre più la famiglia aragonese dal Moro. Ferdinando mandò a Milano Antonio e Ferdinando da Gennaro, ma essi non ottennero da Lodovico se non questa risposta sdegnosa: - Dello stato io tenni sempre le cure, e a Gian Galeazzo riservai solamente gli onori. La prevista nascita del figlio di Gian Galeazzo fece pentire il Moro d'avergli concesso una sposa così amena, insperata e degna solo di un vero principe come lui, al quale, non restava che scegliere una donna altrettanto elegante e bella e di stringere i rapporti con Ferrara. Isabella, «per bellezza di corpo, et d'animo degna di prospera fortuna, dopo' le nozze infelici con Giovan Galeazzo, figliuolo di Galeazzo ucciso dai congiurari cascó in tanta calamità, che fu poi, mentre visse, essempio di malavventurata Principessa. Imperoche con vano nome di Duchessa fu compagna delle miserie, et delle angustie, nelle quali sotto specie di tutela era tenuto il marito per iniquitá del Zio; né qui si fermó l'impeto della suá trista sorte, peroche in un tempo istesso vide privarsi del marito per forza di veleno, et il padre spogliato del Regno dall'arme francesi», per cumulo de gli infortuni suoi si vide cader di mano ogni speranza, che il picciolo figliuol suo potesse aver adito allo stato paterno, poi che, oltra che quasi nel medesimo giorno che morì il marito, fu usurpato il titolo con le insegne di Duca, da Lodovico; dopo alcun tempo, il detto suo figliuolo erede della disavventura di lei fu condotto in Francia dove in monastero chiusa, finì la sua vita.
44,00

L'invasore di Parigi: il bottino di Carlo VIII Re di Napoli (Charles de Valois)

L'invasore di Parigi: il bottino di Carlo VIII Re di Napoli (Charles de Valois)

Sabato Cuttrera

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 186

La frantumazione politica del Regno di Sicilia Ultra e Citra gettò Napoli nell'abbandono. Ovunque regnava il caos. Palazzi abbandonati, case diroccate e cloache a cielo aperto erano il brutto biglietto da visita di una metropoli soggiogata, derubata e affranta dalle guerre. L'ex capitale era allo sconquasso e, perduto il trono aragonese nel 1501, subì la falsa amicizia spagnola del prorex Cordova, che scippò mezzo reame alla «regina triste» in nome di Ferdinando il Cattolico, come già deciso da quest'ultimo sulla carta, essendo in combutta con Re Luigi XII il Cristiano, al quale andò l'altra metà, avallata dai baroni avversi. Toccarono quindi agli Spagnoli del «la Calavria, Basilicata, Terra di Otranto e tutta la Puglia». Furono dei Francesi del «Re Luigi, il Ducato di Benevento, di Abruzzo, Campagna, e la Città di Napoli», sempre più vuota e abbandonata al suo destino e senza più un solo popolo, diviso fra rossi e bianchi. La conseguenza fu che al cambiare della casacca si moltiplicarono i luoghi di confine delle antiche province, a causa dello spostamento forzoso voluto da abati feudali e signori di diverso partito. E il risultato fu che si rifondarono ancora una volta paesi di qua e di là, costringendo alla migrazione le piccole popolazioni di servi della terra da un capo all'altro della linea immaginaria se non era gradita ora a questo e ora a quel feudatario. Con un Viceré a Levante e uno avverso a Ponente, «essendo così divisi, ne nacque anco la divisione de' cuori de li poveri baroni e città del Regno: imperciò che i vassalli de lo spagnuolo si chiamavano Spagnuoli, e seguivano la lor insegna rossa; e i vassalli del francese si chiamavano Francesi, e seguivano la lor insegna bianca: e era forzato spesse volte lo infelice figliuolo esser francese, essendo il suo miserabil padre legittimo spagnuolo», e viceversa. La cosa non poté certo reggere e, «venendo a rotta l'una nazion con l'altra, bisognò anco, che gagliardamente si oprassero rovinar l'un l'altro». E non solamente, a quel tempo, «fu consumato il Regno da la guerra, ma anche da continua pestilenza, e da incomportabile carestia. Per le quali calamità restò quasi voto di gente e di danari; gli edificii rovinati, i campi disfatti, la giustizia inferma, e la religione quasi che morta: e in questa pessima disposizione era anche la Città di Napoli pervenuta», rimasta divisa in due fazioni. Lo scontro infatti non terminerà con l'invasione lampo del Re di Francia. L'Anonimo, Guerra e gli altri cronisti delle Historie di Napoli «dicol che dopo la venuta di Carlo Ottavo Re di Francia nel Regno, il quale à guisa de fulgure venne in Italia, acquistò il Regno, e partissi, fu mandato da Luigi Re di Francia spano monsignor d'Obegni ad invaderlo, il quale fe' gran progressi, et acquisti nelle provincie di quello».
44,00

Ferrante Sanseverino. Principe ribelle. Princeps salernitanis. Volume Vol. 1

Ferrante Sanseverino. Principe ribelle. Princeps salernitanis. Volume Vol. 1

Arturo Bascetta, Anna Maria Barbato

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 146

Il suo nome è in tutte le cronache del Medioevo. Visse il meglio dell'epoca, fra lusso, sfarzo e corti europee. Conobbe belle donne, cavalieri e uomini d'onore, ma la sua vita fu senza dubbia dettata dalla voglia di esistere e di sfidare continuamente le menti ottuse. Nacque orfano per vicende familiari di cattiva politica, perché fu praticamente abbandonato dalla madre - «utilizzata» dalla casa regnante per matrimoni di interesse -, alla quale deve il doppio cognome dei Sanseverino della Casa d'Aragona. Crebbe perciò con gli zii di Paestum e subito si innamorò di una bimba, Isabella, l'unica con cui giocare, scherzare, crescere. Fu senza dubbio il più giovane e ricco principino del tempo, finendo per sposare quella pupa, figlia del padrino e tutore, e divenendo presto titolare di tutti i feudi del defunto genitore, su cui si riprese la patria potestà, perduta per confisca. Il seme materno degli Aragonesi non mutò quindi la linea di sangue nell'erede della dinastia normanna padrona del Sud, invidiata e odiata dai potenti, ma amata dal popolo. Il suo impegno nella difesa delle città del Principato dagli attacchi turchi, così in battaglia, quando fu chiamato a servire l'Imperatore, fanno di Don Ferrante un fedele servitore della patria, presente tanto alla incoronazione di Carlo V, quanto nella guerra d'Africa. Ma la vita di un ribelle «ereditario», ricco o povero che sia, è complicata da vivere e da spiegare, preferendo egli costruire una sua corte letteraria, circondandosi di governatori-poeti, come il Tasso, e di professori trasferiti dall'università di Napoli a Salerno. Fu moderno e fluido nei sentimenti, Don Ferrante, anche quando l'Imperatore fece la corte alla sua amata, e l'istinto lascivo dell'amore lo tenne lontano dalla consorte. All'epoca Napoli subì una violenta repressione che deputati e storici filo governativi hanno tentato di nascondere davanti al tribunale della storia, mentre il suo Principe, il cavaliere più amato del Regno, finiva trattenuto dal suo Re, come un prigioniero inerme, diseredato ancora una volta, e esiliato in Francia, finendo a Costantinopoli, accolto nell'harem del Gran Turco.
39,00

Enzo I Re di Sardegna prigioniero a Bologna. Il figlio di Federico II nato a Cremona

Enzo I Re di Sardegna prigioniero a Bologna. Il figlio di Federico II nato a Cremona

Anna Barbato, Sabato Cuttrera

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 150

Bologna era in festa per la sconfitta del Re svevo e il carroccio metteva allegria per il bottino reale: Enzio, il figlio di Federico II, era finito bottino dei Bolognesi. Tutti esultavano lungo il percorso fatto fare al prezioso prigioniero e già sfoggiavano il vestito a festa. «Terminava la sì decorosa entrata il pretore lieto e giulivo, un bel palafreno bianco cavalcando, rivestito di porpora, onorato da' suoni, e canti. La moltitudine del popolo fuor di città uscito per esser a parte di tanta festa, la non si può ridire, prendendo tutti oggetto, e di stupore, e di allegrezza. Fissavano gli occhi in ispezie sopra il Re Enzo, il quale d'anni intorno a' venticinque, bello della persona, tutti attirava a sè i riguardanti». I suoi capelli biondi lunghi quasi fin a cintola, e il complesso tutto della di lui corporatura alta e gioconda, muovevano ancora a tenerezza, e pietà. La cosa «compassionò alcuni, come nelle disgrazie intervenir suole, in ispezie i bolognesi dolcissimi e gentilissimi, tanta sua disgrazia. Tanto è vero, che anche ne' nimici la sfortuna di persone di merito muove a compassione». Bologna era diventata il simbolo della libertà per i Guelfi di tutte le nazioni. «Può ognuno immaginarli quanto andò per le lingue tutte di Europa la sorte felicissima di Bologna, non potendo che recare stupore, come una sola città giunta fosse a tal altezza di fortuna e gloria. Egli è questo il tanto strepitoso avvenimento alquanto diversamente narrato da Matteo Paris, volendo che Enzo unito a cremonesi e reggiani scorresse i confini de bolognesi a loro danno, onde questi posti in agguato, mentr'egli incautamente n'andava, al Ponte di S.Ambrogio l'attaccassero, che fatto prigione con incirca ducento soldati e molti reggiani, e cremonesi fosse con essi condotto a Bologna, dove all'arbitrio de loro nimici crudelmente assai essendo trattati per ottenere qualche alleviamento, diedero diciottomila lire imperiali. Sia quei ch'egli vuole, certo è non potersi ciò accordare per quello Enzo riguarda, note essendo le tante spese, con principesca liberalità, fatte dal Comune per trattarlo da suo pari».43 Al Re, insomma, non sarebbe mancato il necessario e fu vera neppure la storiella allegorica che era stato tradotto in una vera e propria gabbia. Bologna e Modena, città confinanti, «quando l'Italia tutta era in fazioni divisa, di contrario partito, ebbero insieme in varj tempi pertinacissime guerre».44 Certo è che stupiscono il fatto che sia toccato ai Bolognesi far prigioniero Re Enzo, quando la guerra era fatta da collegati, e principalmente voluta dai Bresciani. Biancardi riporta Manfredi per figlio naturale avuto da Bianca, madre di cinque spuri, tra i quali anche Enzo, perché pare che il nascituro abbia visto la luce nell'anno in cui Federico fu sposo di Jolanta o Beatrice, e quindi non già di Bianca. Fatto è che al piccolo fu mutato il nome di Arrigo in Enzio, alla tedesca, dovendolo distinguere dall'altro suo fratello già chiamato Enrico. Raffaello Morghen, nel corfermare essere stato un figlio naturale, dice che «non sappiamo l'anno della sua nascita, né il nome della madre, che solo in fonti tarde è identificata con Bianca Lancia dei conti di Monferrato». In effetti, incalza Don Celestino, «nulla sappiamo della di lui fanciullezza, né con qual maniera allevato». È il giovane erede degli Hohenstaufen, confuso con l'omonimo fratello Enrico, quello che morì a Bologna nel 1272, seguito dalla disfatta del Regno di Gallura. Per tutti, sebbene prigioniero, fu sempre il biondo Re di Sardegna, l'unico sovrano di quelle regioni che aveva abbandonato nelle mani della moglie.
35,00

Carlo V tra Napoli e Firenze: l'arco trionfale, il viceré e l'amicizia col duca di Firenze e il Merliano Da Nola

Carlo V tra Napoli e Firenze: l'arco trionfale, il viceré e l'amicizia col duca di Firenze e il Merliano Da Nola

Sabato Cuttrera

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 172

Per arrivare a Napoli Carlo V percorse la via Antica Major che da Salerno, risalendo Cava, e passando per Nocera e Sarno, giungeva a Pompei, che, non essendo stata rifondata, era territorio di Scafati e Castellammare, chiamata antica Stabia, per alloggiare nella futura Portici, presso l'antica Laucopetra. L'Anonimo: - Camminò poi innanti, et vidde Nocera delli Pagani, vidde il fiume Sarno, et scoverse il gran Monte Vesuvio, famosissimo per il suo incendio anticho. Et per la generosià delli vini grechi et latini, che producono le sue nobilissime vite, et venne alla pianura della Torre della Nunciata, et da man destra vidde le rovine dell'antica Stabia coverta dall'incendio, et dalla cenere del Vesuvio, ne ni mancorno persuni che del tutto non li dessero raguagli con gran piacere di sua Maestà et dalla Sinistra vidde il mare della Città de Castiello à Mare de Vico, et di Sorrento, et Massa, et scoverse l'isola di Capri. Et passato che hebbe le Pietre Arse, scoverse, e vidde l'Isola d'Iyscha, Procida, Miseno, Nisita, et il bel Capo de Posilipo, et poi scoverse la bile, et gran Città de Napole con li suoi felici colli, le castella, et il Porto; ma perche li Teatri, gl'Archi, li colossi, e gl'altri apparati p er l'intrata di Sua Maestà non erano compiti, Sua Maestà per dar sodisfatione à quella Città per favorire Berardino Martirano Secretario del Regno gentilhuomo cosentino di candide, et scelte lettere, et di costumi nobilissimi ornato, et di tal favore benemerito, restò servita d'alloggiare nella sua picciola villa di Leucopietra, vuolgarmente detta Pietra bianca, et nella corte di questa dormire. Quel delizioso luogo è presso il mare lungi da tre miglia da Napoli, di dovve se posseno vedere, et scoprire tutte le bellezze del bel sito dell'anticha Partenope, et tutto il mare craterico, anticho albergo delle favolose Sirene, ivi è vicino il Monte Vesevo dalla cui radice insino al mare e dalla destra alla sinistra have una larga e lunga pianura, che insino al fiume Sebeto se stenne, dove sono superbi edificij amenissime volle, deliziosi giardini, fruttiferose possessioni et campi fertilissimi, ove se fanno generosi vini latini, et grechi eccellenti....
35,00

Orbassano e i Savoia. Ovvero Orbazan degli Orsini sulla via dei mulini di Torino

Orbassano e i Savoia. Ovvero Orbazan degli Orsini sulla via dei mulini di Torino

Sabato Cuttrera

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 120

La casa di Savoia è una delle antichissime del Mondo, per esser venuta senza alcuna interruttione da quel gran Re di Sassonia Siguardo quale descende dall'altri Re suoi predecessori, sin dall'anno del diluvio 300... comincia così la copia inedita del manoscritto intercettato da Cuttrera e pubblicato per la prima volta nella storia di Orbassano. Il lettore vede così scorrere sotto i propri occhi tutti i Savoia, da conti a duca, una dopo l'altro, in perfetto volgare del cinquecento e del seicento, anno della sua redazione. E poi le notizie sui Savoia che si interfacciano con quelle del feudo di Orbassano, da essi più volte preferito a Rivalta e ad altri castelli. Cuttera fa una ricostruzione senza fronzoli, come nello stile da cronisti medievali, riportando nudi e crudi brani di storici pescati, ritrovati e trascritti senza manomissioni e senza commenti, dando vita a questo interessante e unico viaggio nella città delle acque. Ed ecco che il Manoscritto ritrovato, l'inedito sulla Casa Savoia, appare come parte integrante di un territorio da sempre appartenuto ai Savoia, come risulta dalle sue origini, almeno dopo le notizie sul periodo romano e normanno. Ma Orbancianum o Loco Orbaciano ha una storia intensa, quella che parte di sicuro dal 1035, quando 1/2 feudo era di S.Giovanni di Torino e 1/2 del suo Vescovo. Il periodo dei marchionati italici, si innesta così nel breve regno d'Italia di Re Corrado che dal 1096 al 1111 fece guerra al padre imperatore per volere del papa, facendo arrivare i suoi Marchesi fino a Gravina (Ba), dove si intreccia la storia dei feudatari di Orbassano con quelli pugliesi della Casata degli Orsini. Ma questo libro è soprattutto fatti, quelli degli Abati a Gonzole, come dei Conti Orsini a Rivalta, veri padroni di questi paesi autonomi con diverse leggi fra loro, proprio come accadeva nelle Terre dei Lombardi riconquistate a Sud dall'Imperatore e poi liberate ora dai Normanni ora dai Greci. Con Carlo III di Savoia a Orbassano, invece, di Orsini non se ne partò più, anzi, l'investitura fu tutta di Risbaldo nel Trecento, nei due borghi riacquisiti dal Conte di Savoia, fra il Castello e Trana, concessi ai Risbaldo, ormai che il Duca Carlo è divenuto cognato di Carlo V Imperatore e ha approvato le prime leggi, gli statuti nella città delle acque, poi rinnovati nel 1700. Il libro è un susseguirsi di fatti, da Carlo Orsini, il Conte di Orbassano ai canali costruiti dai Pallavicino, i Marchesi Palavicini di Stupiniggi, quando Orbaciano è capo delle acque per secoli e si ha il distacco finale dai francesi, con la Battaglia di Marsaglia sulla via del paese, e rinasce il borgo incendiato dal nemico. Siamo ormai all'età moderna, fra auto e aerei, quando l'autore termina il suo libro, affidandosi alle figure storiche del paese de Novecento, fra l'aeronautica e l'indotto Fiat, lasciando parlare Padre Pietro e Moris, gli uomini illustri di Orbassano, quella orginata da uno dei tre marchesati storici della Valle dei Mulini di Torino.
18,00

Margherita d'Austria, la duchessa pupilla: nozze a Napoli per Alessandro «il moro» duca di Firenze

Margherita d'Austria, la duchessa pupilla: nozze a Napoli per Alessandro «il moro» duca di Firenze

Sabato Cuttrera

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 144

Nata il 5 luglio 1522 e riconosciuta una rendita a Jenne, ragazza madre, la piccola Margherita passò nelle mani dei genitori adottivi di Bruxelles. Svezzata e cresciuta dalla zia Maria d'Ungheria, imparò a leggere e a scrivere, e presto a parlare fluente almeno quattro lingue. Persa l'occasione per Ercole d'Este, Margherita, fu maritata al Duca di Firenze, tanto per ricucire i rapporti fra Papa e Imperatore, dopo il sacco di Roma. Vennero così sanciti i capitoli matrimoniali in cui si stabiliva l'educazione della pupilla alla corte di Napoli fino all'età giusta per il matrimonio, quando sarebbe stata tradotta a Firenze, a spese del marito, dopo la cerimonia dell'anello al dito da tenersi nel Regno. E così la piccola, conobbe per la prima volta il padre e lo sposo nel 1531, prima di partire per Napoli con uno stuolo di dame, musici e prelati al seguito. Sfidando pioggia e neve sostò quindi a Cafaggiola, dove Caterina de' Medici le mostrò il Firenze e incontrò il marito. Il fuoco delle bombarde all'Annunziata aprì i dieci giorni di festeggiamenti, con spettacoli e recite, dalle corride alle partite di calcio, ai balli e alle cene conviviali. Giunta a Roma, ripartì finalmente per Napoli, dove restò tre lunghi anni per imparare il galateo di corte, studiare e crescere con altri piccoli nobili a palazzo reale. Qui fu seguita dalla Viceregina, che ne divenne balia e tutrice, ricevendo a corte amici, parenti e lo stesso sposo, con i suoi sfarzosi regali. Alessandro giunse nel Regno più di una volta, fra un riassetto e l'altro della città, sempre scossa dagli avversari politici, puntualmente puniti e banditi come nemici. Alessandro era un tipo libertino, di quei principi che si ripromettono di cambiare vita, ma nel mentre corteggiano di continuo le belle donne e non mancano di avere amicizie strette, proprio come le sue. I cugini Lorenzo e Cosimo sono per lui come il diavolo e l'acqua santa, ma rappresentano un legame stretto col sangue, come egli stesso l'ebbe col Papa quando era ragazzo, crescendo alla corte di Roma. Filtri d'amore e veri avvelenamenti dei nemici, quando non sfuggono ai suoi disegni criminali, conducono così il Signore dell'ex Repubblica Fiorentina a una vita di sfarzo e di ostentazione. Né manca di maritare la sorella Caterina al futuro Re di Francia, onorando sempre le pretese dello zio Papa, e accrescendo la lista dei nemici politici, come il generale Strozzi. L'obiettivo del Duca restò però quello di sistemarsi con la pupilla e in virtù del contratto sottoscritto seguì l'Imperatore-suocero a Napoli, appena di ritorno dalla spedizione di Tunisi. Ma l'uno fu accolto con l'arco trionfale, e l'altro con cartelloni e sberleffi dei concittadini avversari giunti in trasferta. A Napoli furono invitati anche i fuorusciti, nella speranza di raggiungere un accordo che non venne, a cui Carlo V rispose ufficializzando la cerimonia di nozze di Alessandro e Margherita, e liberandosi definitivamente delle infinite lagne degli esuli che chiedevano l'impossibile ripristino della Repubblica e, a tratti, la testa del loro Signore. Il 29 febbraio del 1536, finalmente, lo sposo donò l'anello nuziale alla giovane moglie. I Cardinali e lo stuolo di Fiorentini al seguito di Alessandro avevano avuto la meglio sui fuorusciti, scambiando l'agognata amnistia per le nozze di Margherita, e la meglio sugli stessi napoletani, costretti a sottostare alle angherie del Viceré Toledo. Al Duca non restava che andare a Roma, ringraziare il Papa, e ripartire per Firenze. E così, fra un bacio dato dal Duca al Vasari, e uno ricevuto dal suo Cosimo, l'investitura della città agli sposi si completò con una inaspettata eclissi, presagio della vita libertina di Alessandro che lo porterà lontano dalla moglie e dagli amici, come il Vettori, inseguendo le storie da letto e la cattiva compagnia del cugino Lorenzaccio.
35,00

Il femminicidio di Maria d'Avalos: la principessa di Venosa che non vide Montesarchio

Il femminicidio di Maria d'Avalos: la principessa di Venosa che non vide Montesarchio

Arturo Bascetta

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 136

Il pluriomocidio «maschilista» nelle cronache del Rinascimento. La collana sulle «Donne Reali» del Rinascimento si arricchisce con la ricostruzione del femminicidio di Maria D'Avalos, la più bella donna di Napoli. È l'epilogo del giallo che turbò l'Italia, nell'epoca dei delitti d'onore, dove s'allungano le liste delle amanti uccise ora con l'acqua di rosa, ora dritto al petto. L'arma utilizzata, sia essa un fioretto, un pugnale o un archibugio poco conta, perché quel che è necessario è lavare l'onta delle corna, come nel caso di Carlo Gesualdo, assassino conclamato, reo confesso al pari dei suoi servi, ma da tutti assolto. Eppure questo principino di Venosa, di soli 24 enne, premeditò il femminicidio della giovane moglie in ogni particolare, dalle porte chiuse a chiave per intrappolare gli amanti, ai corpi dilaniati da mostrare in pubblico. Certo è che la via sulla «misera morte» degli amanti D'Avalos-Carafa viene spianata da una miriade di indizi sulla bellissima Principessina di Venosa, corteggiata perfino da Giulio Gesualdo, zio acquisito e padrone di una miriade di feudi, da Gesualdo a Calitri, poi ereditati dal musico-assassino alla sua morte. Carlo infatti non possedeva che poco, essendo il genitore ancora padrone del Principato di Venosa. E fu proprio lo zio spione, amante solitario della bella moglie del nipotino, a spianargli la via della vendetta, confidando al consanguineo il posto di Chiaia dove gli amanti copulavano. Carlo appare smarrito, benché spesso a riposo nel suo stesso palazzo, dove il corpo della moglie veniva di nascosto posseduto dal Duca d'Andria. Almeno fino a quando ebbe predisposta l'imboscata, in accordo con altri cavalieri e parenti, pronto a profanare la reputazione della nobile famiglia legata al Vaticano, e non solo per la figura dello zio del Cardinale Alfonso, finito anch'egli additato per istigazione alla tragedia. La casata, l'amore focoso, le feste a Palazzo d'Andria e le serenate di Fabrizio sotto casa mentre Carlo dorme, fanno delle cronache e degli atti ufficiali dell'istruttoria, riportati in questo testo, una ricerca degna di tal nome che annulla l'amicizia fra le famiglie e punta sulla crudeltà della vendetta di un giovane che trascorreva le sue serate col prete musicista e la sua corte di armigeri, erari e servitori, pronti ora a battergli le mani per un madrigale, ora a uccidere al suo fianco. Le serrature bloccate, la scusa di andare a caccia, l'amante a letto in camicia da donna, e le grida del padrone di casa sulle corna in Casa Gesualdo prima di compiere il vile atto: gli elementi di un femminicidio efferato che si trasforma in giallo napoletano ci sono tutti e offrono al lettore l'ora della fine: le pugnalate di propria mano di quello che non solo fu il vile mandante del duplice assassinio, ma ne divenne l'esecutore materiale, per la necessità di accanirsi sui corpi senza vita. Gli atti della «Informazione» tratti dalla Vicaria, il processo scritto sulla scena del crimine, i testimoni, i tre esecutori materiali, e l'assoluzione finale di tutti, col placet del Viceré, riassumono questa storia nel dolore di una madre, costretta a spegnere la sua gioia davanti alle atrocità commesse dal nipote assassino della fanciulla più bella di Napoli. Quello di Maria D'Avalos fu un femminicidio in piena regola che Carlo Gesualdo avrebbe dovuto pagare con la massima pena di pluriassassino.
29,00

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