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Einaudi: Supercoralli

Locus desperatus

Locus desperatus

Michele Mari

Libro: Libro rilegato

editore: Einaudi

anno edizione: 2024

pagine: 136

A tutti, prima o poi, è toccato separarsi da qualcosa che reputavamo soltanto nostro: ma senza ciò che ci appartiene sapremmo ancora dire chi siamo davvero? Il protagonista di questo romanzo abita un appartamento arredato con grande gusto e altrettanta paranoia, due caratteristiche da cui è difficile liberarsi. Soprattutto nel momento in cui si riceve un’improvvisa richiesta di sfratto, che sembra avere una genesi ultraterrena… Del resto, una casa stregata può essere una maledizione, oppure l’occasione per comporre un inventario del proprio passato. «Ridotto così, ero re: delle mie cose, delle mie collezioni, dunque di me, che in quelle collezioni avevo sistematicamente trasferito ogni mia più intima particola». In filologia, il locus desperatus indica un passo testuale corrotto e insanabile, per il quale il filologo è costretto a gettare la spugna contrassegnandolo con la cosiddetta «croce della disperazione». E a dare l’avvio a questa storia è proprio una piccola croce, disegnata nottetempo con un gessetto su una porta. Un mattino, uscendo dal suo appartamento, il protagonista nota quel segno appena sopra lo spioncino dell’ingresso di casa: chi può essere stato a farlo, e che significato ha? L’uomo cancella la croce, ma il giorno seguente, e poi quello ancora successivo, il segno ricompare implacabile. Il mistero s’infittisce quando al residente viene imposto uno scambio: qualcuno prenderà il suo posto, e lui dovrà giocoforza trasferirsi. Ma cambiando abitazione sarà costretto a cambiare anche identità: tutte le cose dentro l’appartamento, infatti, dovranno a loro volta scegliere. O fuggiranno insieme a lui, oppure passeranno a un nuovo proprietario – macchiandosi di alto tradimento. Perché ogni oggetto amato ha un’anima, e dunque una sua volontà. Da sempre le case, nella storia della letteratura così come nella vita, sono il luogo dove gli avvenimenti più banali si mescolano a quelli fatidici. L’abitazione al centro di “Locus desperatus”, però, assomiglia alla Hill House immaginata da Shirley Jackson, o alla Casa Usher di Poe: un’entità senziente, con un suo carattere ben preciso. Un luogo dove l’inconscio di chi ci abita, dopo una lunga frequentazione, è divenuto tutt’uno con i libri, le stampe, gli oggetti e i ricordi d’infanzia. E chi meglio di Michele Mari poteva raccontare lo struggimento e le ossessioni per i feticci accumulati nel corso di un’esistenza, ingaggiando un duello con la propria memoria affettiva? L’autore di “Verderame” e di “Leggenda privata” ci consegna una stramba discesa agli inferi e insieme una spietata tassonomia dei ricordi. Un romanzo tormentato e divertente sul senso ultimo che diamo agli oggetti: «Senza le mie cose io non sarei stato più io, e senza di me loro non sarebbero state più loro».
18,00

Tremore

Tremore

Teju Cole

Libro: Libro rilegato

editore: Einaudi

anno edizione: 2024

pagine: 216

Tunde e Sadako, sangue nigeriano lui e sangue giapponese lei. Il Museum of Fine Arts di Boston, con i suoi splendidi tesori e la sua raffinata ipocrisia, e Bamako, la capitale del Mali, con la musica vivificante delle notti calde. Lagos nelle sue mille incarnazioni e Lagos come collettività vista dall’alto, terra solcata dall’acqua e acqua insidiata dalla terra. Nel nuovo romanzo di Teju Cole la parola «tremore» non compare, ma i sussulti del terremoto si vedono e si sentono ovunque: negli edifici sbriciolati di Haiti e dell’Iran, nella relazione vacillante tra Tunde e Sadako, ma anche nel frammentarsi della voce narrante e nel crollo delle divisioni tra i generi letterari. Tunde è un fotografo che vive da quasi trent’anni negli Stati Uniti. Le sue radici, però, sono nella caotica e contraddittoria Lagos, terra di martiri e peccatori, di progresso e superstizione. Sposato e senza figli, insegna a Harvard, il tempio della cultura americana, e si è fatto un nome nell’elitario mondo dell’arte, ma resta un nero in un mondo a misura di bianchi. E da outsider vede quello che sfugge a chi non conosce, né riconosce, che il proprio punto di vista: il sottinteso nell’espressione «terribile tragedia», il passato schiavista in uno dei campus più prestigiosi d’America, la violenza dietro le opere d’arte custodite con ogni cura in eleganti musei. Il razzismo è ovunque. Spiega anche perché Samuel Little, il serial killer che ha mietuto più vittime nel Paese, risulti praticamente sconosciuto al pubblico: si accaniva quasi esclusivamente su donne nere. In “Tremore” Teju Cole mescola voci, temi e generi, tratteggiando una modernità in cui la narrazione del mondo propagandata dalla ricca America bianca vacilla sotto i colpi di una logica ferrea.
19,50

Un canto divino

Un canto divino

Genki Kawamura

Libro: Libro rilegato

editore: Einaudi

anno edizione: 2024

pagine: 304

La famiglia Dan’no è una famiglia come tante. I genitori Michio e Kyoko gestiscono un negozio di uccellini e amano il loro lavoro, la figlia Kanon frequenta le medie, Kanata è il piccolo di casa. I Dan’no hanno tutto per essere una famiglia perfetta: si vogliono bene e sono felici. Fino al giorno in cui la tragedia fa irruzione nelle loro vite, e interrompe ogni dolce melodia. Ma oltre il frastuono del dolore, per i Dan’no suonano le note della salvezza. Dall’autore di “Se i gatti scomparissero dal mondo”, un romanzo intenso, una riflessione sul male e la redenzione. Su come l’inferno, il purgatorio e il paradiso siano già qui, in ognuno di noi. Ancor prima di entrare, i clienti sono piacevolmente accolti dal vivace canto degli uccellini. Diamanti mandarini, passeri di Giava, calopsitte, canarini, parrocchetti ondulati e tanti altri pennuti variopinti sono da sempre la specialità del negozio dei Dan’no, uno storico locale situato in un quartiere periferico di Tokyo. Non si tratta solo dell’attività di famiglia, è un mestiere che Kyoko e Michio amano. Agli uccellini dedicano ogni giorno tempo e cura, come anche la dolce Kanon e il piccolo Kanata, che condividono questa passione. Del resto la casa di famiglia è proprio al piano di sopra e il negozio è parte integrante della loro quotidianità. I Dan’no conducono un’esistenza modesta ma si accontentano delle gioie semplici. Perché in fondo hanno tutto per essere una famiglia perfetta: si vogliono bene e sono felici. Fino al momento in cui la tragedia irrompe nelle loro vite: una mattina, fuori dalla scuola elementare, Kanata viene ucciso da uno squilibrato. Più di dieci bambini sono vittime di quella strage insensata, di quell’ingiusta violenza. I Dan’no si ritrovano a fare i conti con il dolore più cupo, che inevitabilmente divide e allontana. Michio si annulla nel lavoro e cerca consolazione fuori casa, frequentando la Società del Vento, un’associazione di famigliari di vittime di omicidio. Kyoko, chiusa nel silenzio, prova rancore nei confronti del marito, che incolpa per la morte di Kanata, e sembra ritrovare un po’ di serenità solo quando canta per il Coro della Voce Eterna, un gruppo religioso dai contorni poco chiari, che la abbaglia con la facile promessa di un ausilio divino per superare il lutto. Kanon, ragazzina timida e fragile, rimane faticosamente in equilibrio tra le macerie, cercando strade nuove che la conducano alla sua verità. Proprio grazie a Kanon la famiglia ritroverà il coraggio di vivere e, di nuovo unita, tornerà a sentire ogni nota di quella melodia dei giorni che assomiglia a un canto divino.
18,00

Stelle solitarie

Stelle solitarie

Cristina Marconi

Libro: Libro rilegato

editore: Einaudi

anno edizione: 2024

pagine: 144

Cosa vuol dire prendersi cura di qualcuno? Ci si riesce mai veramente? E, soprattutto, cosa cerchiamo per noi nello stare vicino a chi soffre? Houston è la città che da sempre risolve problemi, e lo fa con slanci grandiosi e ambizioni smodate. E cosa c’è di più ambizioso che curare una malattia che sembra incurabile? Perciò è lì che Cristina accompagna la sua amica Vera, bellissima e piena di luce, che dalla vita ha ricevuto un colpo basso a cui non si rassegna. E forse anche Cristina è in qualche modo in cerca di una cura. Un racconto pieno di intelligenza, che si affida alla leggerezza per provare a dire cosa siamo, e cosa possiamo essere, davanti al dolore degli altri. Certe persone hanno con la sofferenza un rapporto confidenziale, e Cristina si è sempre considerata una di queste. Empatica, sentimentale, ma anche bravissima a farsi in quattro per dimostrare che la realtà può essere ridente, nonostante tutto. La malattia di Luca – marito, padre di sua figlia, amore simbiotico che ha fatto retrocedere a sfondo ogni altra cosa – l’ha attraversata così, sul viso un’espressione rassicurante e spiritata che non riesce a togliersi di dosso neanche ora che Luca sta bene. Chi non sta ancora bene invece è Vera, «l’amica zucchero», che dopo anni di compromessi faticosi con la malattia vuole andare nel posto in cui la cura si affronta con lo stesso piglio ardimentoso della corsa allo spazio, ispirata dalla stessa megalomania: Houston, la città che risolve problemi. E chi meglio di Cristina può starle accanto? Così comincia il viaggio di queste due amiche quarantenni, che hanno costruito il loro legame sulla capacità di raccontarsi la vita e di farla più divertente di com’è, senza dover mai scegliere tra profondità e frivolezza. La bellezza è il loro principio di realtà: se agli altri serve come evasione, a loro ricorda esattamente ciò che conta, perché nella bellezza c’è anche celebrazione della vita, curiosità, immaginazione e gioco. Ma adesso Vera, come Luca, sembra aver cambiato luce: è solitaria, assorta, brilla un po’ in disparte rispetto alla sua costellazione originaria. Costretta a rinunciare alle sue ingenue fantasie di accudimento, spesso sola in una città di strade deserte costeggiate da grattacieli scintillanti e villette con il canestro sulla porta del garage, Cristina si dà allora il compito che le riesce meglio: fare di questo viaggio una storia, possibilmente un’avventura. In modo leggiadro e sapiente, Cristina Marconi si accosta al senso profondo dello stare accanto, al mistero della sofferenza e della speranza, fino a intravedere, a farci intravedere, una possibilità altrimenti inaccettabile: a un passo dal dolore degli altri – degli altri che amiamo – può accadere di scoprirci vivi, fortunati, persino felici.
17,50

Molto molto tanto bene

Molto molto tanto bene

Caterina Bonvicini

Libro: Libro rilegato

editore: Einaudi

anno edizione: 2024

pagine: 208

Si possono inventare dei legami famigliari seguendo l’istinto, il desiderio e l’immaginazione? Si può davvero aiutare qualcuno? Ma soprattutto: si può salvare chi non vuole essere salvato? “Molto molto tanto bene” è una storia vera: la storia di una famiglia nata in mare, vitalissima e sgrammaticata come il titolo di questo libro. A bordo delle navi Ong, Caterina scopre che il Mediterraneo ti sorprende sempre. È proprio durante un salvataggio al largo che compare Amy, una bambina di cinque anni: sorride, e porta un cappellino di strass che luccica sotto al faro di pattugliamento. È l’inizio di un amore impetuoso e accidentato. Del resto è sempre così difficile sapere qual è il nostro bene, figuriamoci quello degli altri. C’è chi parte sulla scia dell’entusiasmo, chi decide di tornare per puro amore della vita, ma a spingerti su una nave Ong – una volta dopo l’altra – è soprattutto l’ostinazione. Caterina ormai conosce l’Endurance come casa sua, ogni corridoio, ogni boccaporto. Ha imparato i gesti per issare i naufraghi sul Rhib, a prendersi cura di loro quando dormono sul ponte, in salvo, distesi sui cartoni. Quel che Caterina non sa è che oggi, su quella nave, sta per comparire un futuro possibile. Succede in mezzo al Mediterraneo, a trenta miglia a nord di Zawiya. Il mare è mosso, lei è pronta: ha il casco, il salvagente a gas, i pantaloni impermeabili, gli stivali di gomma, i guanti. Il vento è forte e copre ogni voce. E all’improvviso appare Amy, una bambina di cinque anni. Durante il salvataggio sorride tranquilla, come una diva che sale su un motoscafo nella laguna di Venezia. Porta un cappellino di strass che luccica sotto al faro di pattugliamento. Inizia così un tentativo un po’ pazzo e visionario di comprendere l’altro: Caterina lo affronterà con passione e testardaggine. Ma nella vita non si può prevedere tutto, o meglio quasi niente. Forse perché gli amori nati in mare, nell’emergenza, sono più movimentati e imprevedibili di quelli che poggiano sulla terraferma. Molto molto tanto intensi, molto molto tanto feroci. «E ripete a raffica la sua parola italiana preferita: baci. Si appoggia le mani sulla bocca, picchiettando le labbra con le dita: baci, baci, baci. Spesso la saluto con un Ti voglio molto bene o Ti voglio tanto bene, e Amy fa due conti. Per aggiungere quantità, basta usare tutti gli aggettivi insieme».
18,50

Il vecchio al mare

Il vecchio al mare

Domenico Starnone

Libro: Libro rilegato

editore: Einaudi

anno edizione: 2024

pagine: 128

«Nel corso della mia vita ho fatto di tutto, proprio di tutto, per smania di racconto». Sulla spiaggia di un ottobre caldissimo c’è un vecchio signore che legge, scrive, passeggia. Una mattina qualcosa gli leva il respiro, gli sfugge. Cosa se ne sta andando per sempre? Muove da questo istante di smarrimento un racconto vorticoso e raffinatissimo, teso e scanzonato, che insegue Rosa, ombra di madre sarta, morta troppo presto, e Lu, giovane commessa di boutique che, nel tempo libero, coltiva la passione per la canoa. Un libro sulla perdita del proprio mondo, sulla vecchiaia, sull’amore per le donne, sul prodigio e lo smacco della scrittura. Gli ultimi sessant’anni di Nicola sono stati una corsa. Ha amato, ha promesso molto e dato molto meno, inseguendo un’idea tutta sua di felicità svagata. Ora ha ottantadue anni, e da tredici giorni ha preso in affitto una casa al mare tra le dune. Ogni mattina va a sedersi in spiaggia, in camiciola e calzoncini, quaderno e matita in mano, e osserva una ragazza pagaiare con eleganza tra le onde. Lu ha vent’anni e quando non va in canoa fa la commessa nella boutique di Evelina. A Nico fa venire in mente sua madre, anche se non le somiglia, come del resto nessuna delle donne della sua vita. Una madre morta troppo presto, reinventata dalla memoria e dalla fantasia, una madre che si faceva bella come un’attrice anche solo per uscire a fare la spesa, che cuciva abiti per le sue clienti, ma soprattutto per sé, quasi una disobbedienza, una fantasia peccaminosa, contro la gelosia furibonda del marito. Per questo gli abiti femminili per Nicola sono tuttora una festa, il segno di una passione ancora viva per le donne. Così nella boutique di Evelina assiste incantato, sedotto, al susseguirsi di blazer e caban, taffettà e seta damascata, che le amiche di Evelina prima e Lu poi si scambiano entrando e uscendo dai camerini. In una cittadina ventosa in cui sembra non accadere nulla, Nicola prova a districare le matasse di un variegato catalogo umano fatto di dispetti e pettegolezzi. E allora forse comprarsi un kayak, alla sua età, e andare a caccia di piovre giganti insieme al piccolo figlio di Lu diventa il modo per imbastire la trama di un’infanzia ancora tutta da scrivere, nell’inesausto tentativo di «trovare le parole giuste per dare un senso a ciò che mentre vivi viene giù a vanvera». “Il vecchio al mare” ha la malinconia di certi orizzonti meravigliosamente lontani visti la sera da terrazze piene di salsedine, e di quegli incontri casuali, un mattino d’ottobre sul bagnasciuga, che a distanza di tempo ricordiamo con gratitudine. Il nuovo romanzo di Domenico Starnone è un perfetto congegno di erotismo, crudeltà, sottigliezza.
17,00

Aut-Aut

Aut-Aut

Elif Batuman

Libro: Libro rilegato

editore: Einaudi

anno edizione: 2024

pagine: 416

1996. Selin è l’unica della sua famiglia turca a essere nata negli Stati Uniti e tanto fortunata da frequentare Harvard. Ora che è al secondo anno, sente di dover compiere qualcosa di straordinario. Ma prima ha un paio di questioni da risolvere. Come decifrare gli eventi dell’estate passata nella campagna ungherese o definire il rapporto con Ivan, la sua fiamma che brucia in una non-relazione a distanza. E soprattutto trovare al più presto un modo – o meglio qualcuno – che le consenta di raggiungere l’obiettivo fondamentale della giovinezza: (fare) l’amore. Tra party universitari, pagine di libri e rocambolesche prime volte, riuscirà Selin a diventare finalmente l’eroina del romanzo della sua vita? 1996. Selin ha superato, in tutti i sensi, il primo anno di Harvard ed è tornata dalla campagna ungherese dove ha soggiornato per un programma estivo illuminante sotto molti punti di vista, tranne l’unico che le interessava: Ivan. Il brillante matematico ungherese, l’enigmatico, impossibile Ivan con cui Selin ha avuto un’insolita relazione online (ante litteram), ormai volato a Berkeley per proseguire gli studi. Ma ora che è iniziato il secondo anno, Selin è decisa a non perdere tempo – ogni cosa alla sua età ha un carattere d’urgenza – e a non lasciare nulla di intentato. Per iniziare al meglio, sceglie di seguire le lezioni di letteratura sul caso. Cercando in libreria i testi per il corso, Selin nota “Aut-Aut” e rimane colpita dall’affermazione che campeggia in quarta: «E quindi, o si vive esteticamente o si vive eticamente». Selin non crede ai propri occhi: ci sono davvero libri che parlano di lei e della sua amica Svetlana, che fin dai primi tempi dell’università si servono del binomio «etica ed estetica» per sviscerare le rispettive differenze. Selin esce dalla libreria con l’opera di Kierkegaard e, per necessità curriculari, “Nadja” di Breton, convinta che quei libri le cambieranno la vita. Prima che si compia qualsiasi straordinario rivolgimento, però, Selin deve risolvere la complicata crisi di coppia con Ivan – che si annuncia irrisolvibile in quanto bisognerebbe prima di tutto essere una coppia –, fare chiarezza su certi strani eventi, come i tentativi di contattarla da parte dell’ex del suo amato, o dare un senso alle dinamiche dei pranzi in mensa e delle feste alcoliche. E in queste ultime trovare un’ispirazione, possibilmente in carne e ossa, che la aiuti a disfarsi dell’ingombrante peso della verginità. Forse sarà il sesso a restituire a Selin la capacità di vedere la sua vita come un racconto. Oppure sarà un avventuroso viaggio in Turchia a regalarle un’esistenza romanzesca. Ma come evitare di trasformarsi nella protagonista ferita e disperata, mediamente folle, tanto cara alla letteratura (non a caso prodotta da uomini per secoli e secoli)? Tra incredibili party universitari, pagine spietate e rocambolesche prime volte, riuscirà Selin a diventare l’eroina del romanzo della sua vita, e magari a esserne anche l’autrice?
21,00

Il cammino del morto

Il cammino del morto

Larry McMurtry

Libro: Libro rilegato

editore: Einaudi

anno edizione: 2024

pagine: 544

Una distesa insieme maestosa e spietata, dove né il viaggiatore ben armato né il bisonte più robusto sanno per certo se arriveranno a sera: ecco l'Ovest americano alla metà dell'Ottocento. Gus e Call – l'avventato e il giudizioso, il fanfarone e il taciturno, il donnaiolo e il riluttante – sono come il giorno e la notte, ma hanno una cosa in comune: tanta voglia di avventura. Perché, allora, non entrare nei Texas Ranger? Tutti sono stati giovani, anche gli induriti cowboy protagonisti di "Lonesome Dove": questa è la storia di come tutto ebbe inizio. Tutti sono stati giovani, anche Gus e Call, gli induriti venditori di bestiame protagonisti di "Lonesome Dove". A quell'epoca, gli anni Quaranta dell'Ottocento, le praterie a ovest di San Antonio erano ancora selvagge e dominate dagli indiani. Dunque chi meglio di due ragazzi sbandati e un po' ingenui per rimpolpare la compagnia di Texas Ranger in partenza per El Paso? Un fucile, un cavallo, la promessa di una paga e si va. Ma in giro c'è Buffalo Hump, l'abile e brutale capo comanche, e il battesimo della strada si celebra con il sangue. La vita in città è senz'altro più sicura, ma anche più noiosa. Ecco, quindi, che Gus e Call si rimettono in viaggio unendosi a una spedizione per la conquista di Santa Fe, florida città del New Mexico. A guidarli c'è un ex pirata che della terraferma non si intende molto. È un male, perché stavolta la lista dei pericoli è davvero lunga: ai Comanche con la passione degli scalpi si aggiungono Apache amanti delle torture, messicani più combattivi del previsto e una natura inospitale fatta di orsi inferociti, fiumi in piena e siccità estrema, che mostra il suo lato peggiore nel famigerato «cammino del morto». A partire sono in duecento, ma non tutti faranno ritorno. "Il cammino del morto" fa parte della quadrilogia del West che ha reso celebre McMurtry: pubblicato dopo "Lonesome Dove" e "Le strade di Laredo", è il prequel che racconta come tutto ebbe inizio.
22,00

Lucy davanti al mare

Lucy davanti al mare

Elizabeth Strout

Libro: Libro rilegato

editore: Einaudi

anno edizione: 2024

pagine: 232

È l’inizio del 2020 e in città giunge notizia di un nuovo virus potenzialmente letale. A New York i casi sono ancora sporadici e la gente, la scrittrice Lucy Barton fra loro, si aggrappa alla vita di sempre. Ma non William. William, il primo marito di Lucy, è un uomo di scienza, e la intuisce da subito, la catastrofe che sembra spazzar via la vita conosciuta; la grande paura che annienta le certezze e scuote le relazioni. Anche quella antica di due vecchi coniugi che credevano di aver esaurito le sorprese. Ancora una volta tocca far appello all’amore, alle sue forme strane e imperfette, per far sì che il comune dolore anziché allontanare unisca. Per salvarsi la vita. La scrittrice Lucy Barton non ha mai cancellato un tour promozionale in vita sua. Eppure, quasi senza saperne la ragione, quel tour in Europa, previsto per i primi mesi del 2020, l’ha disdetto. «Meno male che non sei andata in Italia, – le diranno poi, – là c’è il virus». È William, lo scienziato William, il primo marito di Lucy, da poco reduce dal fallimento del suo terzo matrimonio e dal rifiuto di una sorellastra che non lo vuole incontrare, a passare all’azione per primo: Lucy ha poche ore per preparare un bagaglio essenziale, chiudere casa e partire con lui alla volta di una casetta in affitto sulle coste del Maine. Anche le loro figlie, Chrissy e Becka, e i rispettivi mariti dovranno raggiungere luoghi più protetti. L’imperativo per tutti, nei piani di William, è lasciare la città, con il suo brulicare di vita e pericoli, e mettersi al riparo. Pur incredula e sgomenta, Lucy accetta di seguire l’ex marito a Crosby, Maine. Per loro inizia così la routine interminabile di una quotidianità dilatata nella ripetizione di piccoli gesti sempre uguali a se stessi che la pandemia ha caricato di senso; una routine ammanettata all’assenza di vita – «Certe volte dovevo uscire di casa al buio e andare giù fino al mare, imprecando ad alta voce» – eppure preziosa perché garanzia della prosecuzione. E poi un inedito senso di solitudine e isolamento. La nostalgia. La preoccupazione per i cari distanti. L’amarezza di certi allontanamenti. La rabbia e la noia. La grande paura, individuale e collettiva: quella che fa avvicinare una furente abitante del luogo all’automobile con la targa della metropoli, urlando a una Lucy Barton sconvolta: «Maledetti newyorkesi! Via da casa nostra!» E poi l’ottusità, che la paura sempre porta con sé, in seno all’inconsapevole privilegio di chi la prigione può permettersi di scegliersela. Ma ci sono anche gli istanti di consolazione: una natura anch’essa ripetitiva, come le onde del mare che Lucy contempla, ma proprio per questo rassicurante; una chiacchierata dietro la mascherina, un abbraccio proibito e insperato con una figlia lontana, un incontro dal passato, e un percorso rovesciato di separazione in casa per due vecchi coniugi e amici e amanti chiamati a saggiare la trama della loro comune tela nel modo più brutale. Lo stesso di cui tutti noi ancora portiamo le cicatrici.
19,00

Quando avevamo le ali

Quando avevamo le ali

Ayanna Lloyd Banwo

Libro: Libro rilegato

editore: Einaudi

anno edizione: 2024

pagine: 304

Nella labirintica città di Port Angeles, a Trinidad, Darwin non trova altro impiego che al cimitero, a contatto con quei defunti che la fede rastafariana di sua madre gli imporrebbe di rifuggire. Yejide discende dai corbeaux e, come tutte le donne della sua famiglia, porta con sé il gravoso dono di comunicare con i morti. Sfidando la forza di una tradizione avversa, i due intrecciano i loro destini, divenendo i protagonisti di una salvifica storia d’amore in un mondo in bilico tra il bianco e nero delle miserie umane e il grandioso technicolor della natura. La vita su un’isola dei Caraibi può essere tutt’altro che idilliaca: anche in un luogo permeato dalla bellezza rigogliosa e terribile della natura, il contatto con la realtà urbana è necessario se si vuole sopravvivere. Occorre accettare compromessi, talvolta rinnegare il proprio passato. Lo sanno bene Darwin e Yejide, i due protagonisti di un’insperata quanto salvifica storia d’amore che nasce per entrambi da un desiderio di libertà e riscatto. Per poter aiutare sua madre, sola e ormai troppo affaticata per continuare a fare la sarta, Darwin deve cercare lavoro in città, ma questo significa adattarsi a una vita che non ha mai conosciuto. L’unico incarico che riesce a trovare, al cimitero Fidelis, è proprio quello che gli impone di abbandonare tutte le certezze che hanno plasmato e sostenuto la sua esistenza: il rastafarianesimo, i dreadlock, la promessa di non avere mai a che fare con i morti. Nonostante la fatica fisica e morale che gli viene richiesta per svolgere le sue mansioni, e il non facile rapporto con i suoi compagni di lavoro, Darwin riesce ad abituarsi a quella vita, o almeno così crede. Yejide, invece, è nata e cresciuta in una grande e tentacolare casa coloniale al confine con la foresta, e la sua natura è solo in parte umana: come tutte le donne della sua famiglia, discende dai corbeaux, grandi uccelli neri e voraci che volano a est verso il sole che sorge liberando le anime dei morti. Ed è proprio qui, in questa discendenza animale, che risiede il tragico talento di cui Yejide è depositaria: la capacità di vedere, sentire, comunicare con i morti e accompagnarli nel momento del trapasso. Un dono e una condanna insieme, che la costringe a un conflitto interiore tra l’accettare la pesante eredità di chi l’ha preceduta e il desiderio di essere normale, di poter amare ed essere amata. In un susseguirsi di momenti al confine tra realtà e sogno, i due giovani si incontrano, riconoscono la reciproca sofferenza e si concedono il lusso di un’umana passione in un mondo perennemente in bilico tra la vita dei vivi e quella dei morti. In una prosa ricca e ritmata che restituisce colori, luci e profumi delle isole caraibiche, realtà e fantasia si intrecciano in una storia dove la forza e i limiti dell’identità culturale si scontrano con la necessaria ricerca della propria identità personale.
19,50

I folgorati

I folgorati

Susanna Bissoli

Libro: Libro rilegato

editore: Einaudi

anno edizione: 2024

pagine: 192

«Penso che sono sopravvissuta e che forse dovrei cominciare a farmene qualcosa, di questa vita che avanza». Si può sopravvivere alla scarica di un fulmine: le tracce magari sembrano minime, ma nel profondo si cambia per sempre. I protagonisti di questo romanzo sono proprio dei folgorati: da quando li ha attraversati la morte, la vita è diventata una cosa imprevedibile. Una figlia volubile e spinosa, un padre burbero, con la lingua sciolta e la gamba “cancara”. Sono malati tutti e due, bisticciano e si rincorrono, si aiutano più ridendo che piangendo. In un susseguirsi di dialoghi intensi, esilaranti, veri, questo libro ci racconta la forza testarda della famiglia, lo slancio incontenibile verso la fuga, la vulnerabilità e il dolore, il peso di certe eredità e la scrittura non come scelta ma come un fiume che scorre sotto i piedi. La vita è ostinata, e Vera lo sa bene. Quando scopre di essere di nuovo malata (della stessa malattia che ha portato via sua madre, e molte donne della sua famiglia), suo padre Zeno le offre ospitalità nella casa dove da anni vive ormai solo – la «Settimana Enigmistica» sempre sul davanzale del bagno, con le caselle riempite a caso, perché i vuoti sono insopportabili. La loro è una famiglia monca ma vitale, spiritosa, dirompente. Nora è la sorella minore, gestisce da sola una figlia di dieci anni e un negozio di borse dove ha provato a far lavorare Vera, ma lei stava al computer a scrivere anziché inserire fatture. Vera infatti ha sempre inseguito, oltre alla libertà, il sogno di diventare scrittrice: però «le storie bisogna pure finire di raccontarle», non lasciarle a metà, impantanate, un po’ come la sua vita. L’amore accidentato con Franco – che riesce a farsi venire un attacco di panico mentre l’accompagna a una visita di controllo – non è l’àncora sicura per affrontare la nuova burrasca. Meglio tornare nella casa in cui è cresciuta, da quel cocciuto di suo padre, che pur di non far vedere a un medico la gamba che gli pulsa gira solo con scarpe di tela sfondate. Ed è proprio in una stanza chiusa a chiave di quella casa che Vera scopre decine di quaderni fitti fitti di parole: suo padre ha scritto un romanzo? Ma se ha la quinta elementare. Chissà se sono le storie che ci salvano, o siamo noi a doverle salvare. Un romanzo dalla grazia rara che sa tenere insieme il riso e il pianto, perché è l’ironia la chiave di tutte le salvezze.
18,00

Elizabeth Finch

Elizabeth Finch

Julian Barnes

Libro: Libro rilegato

editore: Einaudi

anno edizione: 2024

pagine: 184

Affascinante senza essere manipolatoria, rigorosa ma mai dogmatica, elegante seppure austera, irriducibilmente anticonvenzionale, eternamente sfuggente: così è Elizabeth Finch, docente del corso di «Cultura e civiltà» al college. Il suo carisma e la forza delle sue idee sono destinati a segnare per sempre il modo di pensare dei suoi studenti. O almeno di uno di essi. Questa è la storia che lui ci racconta. Ma, come direbbe Elizabeth Finch, «travisare la propria storia è parte dell'essere una persona». Il «Re dei Progetti Incompiuti», secondo la definizione della figlia adolescente, Neil si porta appresso un bagaglio di insuccessi lungo una vita: un'ambizione attoriale frustrata, due matrimoni falliti. Ma a quella prima lezione del corso di «Cultura e civiltà», tanti anni prima, il giorno in cui fece la conoscenza della docente Elizabeth Finch, Neil ebbe la sensazione di essere arrivato, per una volta, nel posto giusto. Sobria nell'abbigliamento, esatta nel dire e cristallina nel pensare, fumatrice incallita e insofferente del comune sentire, Elizabeth Finch – EF per la classe – incuneò fin da subito il grimaldello del libero pensiero nelle quiete coscienze dei suoi studenti, mai trattati come «oche all'ingrasso» da infarcire di nozioni, ma coinvolti in un continuo processo socratico di collaborazione, spesso caustico ma mai sprezzante, e fatalmente fertilizzato dall'elisir del carisma. Impossibile, per i discenti, non perdersi in congetture sulla sua inespugnabile vita privata e non restare colpiti dalle sue idee sulla Creazione: «Il mondo è male organizzato, perché Dio l'ha creato da solo. Avrebbe dovuto consultare qualche amico: uno il primo giorno, un altro il quinto, un altro il settimo, allora sì che sarebbe stato perfetto», sull'amore: «Esiste una parola più mistificante, abusata, fraintesa, più estensibile a livello di significati e di propositi, più contaminata dagli sputacchi di miliardi di lingue bugiarde, della parola "amore"? E c'è qualcosa di più scontato che lamentarsi di tutto questo?», sul pensiero unico: «Monoteismo. Monomania. Monogamia. Monotonia. Niente di buono inizia con questo prefisso», o su ogni altra area del sapere e del sentire, antico e moderno. Odiarla o amarla, non c'è alternativa. Neil rientra da subito nella seconda categoria, e vi rimane per decenni dopo la fine del corso, sposando il suo metodo critico e infine facendosi carico del suo progetto incompiuto: quello sulla figura di Flavius Claudius Julianus, ovvero Giuliano l'Apostata, l'ultimo imperatore romano non cristiano, la cui sconfitta in battaglia determinò l'instaurarsi a Roma del monoteismo ai danni di tutte le altre religioni e dunque, a detta di EF, la chiusura della mentalità europea e la fine della gioia. Neil ha ormai i capelli grigi quando si addentra nelle carte della sua antica maestra e forse amica, in cerca di verità mai svelate. Eppure Elizabeth Finch l'aveva avvertito fin dall'inizio: «Artificio, rigore, verità. Artificio non come opposto della verità ma spesso come sua manifestazione, ciò che lo rende irresistibile».
18,00

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