Aragno: Domani
Strategia
Carlo Bordini
Libro
editore: Aragno
anno edizione: 2019
pagine: 148
«Quando qualcuno parla, fa più chiaro», scrive la psicoanalista austriaca Hermine Hug-Hellmuth nel Diario di una giovinetta prefato da Sigmund Freud. Un libro «scritto per dire delle cose a una persona», dunque «per non impazzire» - come dichiara Bordini nella sua prefazione - fa rinsavire chi lo legge, perché punta un faro da ring sulla sua vita, non soltanto amorosa, ma di relazione. La tenace Strategia di Bordini è mettere in scena la confusione che segue all'apparir del vero, che presenta sé stesso in parvenza d'«amore», ma riverbera la sua ombraluce fino allo stato inerme dell'infanzia. Strategia è infatti scritto senza risparmio e non risparmia neanche l'autoavverarsi della profezia di morte (simbolica) all'avversario amoroso che, in questo caso, coincide col primo lettore. E pure noi, lettori postumi all'amore qui dato, riceviamo diretti in pieno viso, se mai una volta siamo stati investiti dallo spavento che chiamiamo «amore». Bordini prova a emanciparsi dall'ossessione trasferendo in contesto agonistico la «donna de lo schermo» dantesca, che ora diventa una «sparring-partner» ma poco dopo, nient'affatto salvo, scrive il nome dei nomi, mamma, con la voce che quasi gli fallisce per i singhiozzi, spostato nel tempo senza tempo della psiche Il seme del piangere di Giorgio Caproni - che, a sua volta, lavorava un seme dantesco. Con Bordini, che invoca la madre passando attraverso la perdita della donna amata, torniamo dunque due volte al padre della nostra poesia: una per via diretta (la «donna de lo schermo») e una per via indiretta (il piangere caproniano) ma, soprattutto, attraversiamo il confine tra così detta realtà e scienza interiore, tra follia e ragione, dunque tra vita e morte, conosciamo per negazione come in Montale («so chi non amo») e ritorniamo a noi come rinati, come sciacquati da una colonna d'acqua, per metà pianto e per metà futuro. Maria Grazia Calandrone
Finisterre
Matteo Meschiari
Libro
editore: Aragno
anno edizione: 2019
pagine: 130
Un soggetto senza nome e senza corpo, «cieco. Ma con le dita della mente nei recessi d'erba» assiste a ogni origine sulla Terra, uno che è tutti: prende così avvio Finisterre di Matteo Meschiari. Poemetto che affonda radici in una oralità della composizione ma subito si fa scrittura con una sua impronta, mirando apertamente a rovesciare «la geologia in atmosfera l'atmosfera / in forme primitive di terra e la terra in idee/che potevano essere o non essere - ma erano l'adesso». Scrittura composita, che si mimetizza in più voci ed identità, attraversando, tra antropologia, «artico nero» e distopia, tutte le ossessioni dell'autore, legate insieme da una volontà civile. Ed è proprio sull'adesso e l'urgenza del riscaldamento globale, della (possibile) fine della specie umana - di cui ormai siamo a scrivere in modi anche solo pochi anni fa inimmaginabili - che sosta e si chiude un progetto proprio rispetto alla poesia italiana che si fa oggi. Ragionare, finché dura, sull'Antropocene è il compito che Meschiari si è prefisso in opera, e che pratica anche qui, un «pensare attraverso la terra», con l'augurio «che il terreno sia complessità della mente», e che davvero si possa «dire il non detto di ghiaccio», dove il ghiaccio è rovescio del fuoco del clima, ustione mortale. (E certo, la prossima volta il fuoco). Ma intanto, e finché sarà possibile, l'invito di questa poesia è all'incessante movimento, mutamento: «camminare la scogliera/di ciò che accade piuttosto che la scacchiera di ciò che è». Con un corollario, forse involontario: che il bellissimo pianeta mondo viene visto, come direbbe Oliver Sacks, da un animale senziente, e forse ancora più che visto percepito, come nella propriocezione, come se fossimo uno-con: «La manta - la prima la sola - era ciò che si cerca / la sua idea era l'ombra sui coralli / il lato in ombra dei coralli il mio sapere la manta / la manta me stesso - quando immergo pensieri nel mare / e percorro le forme nel corpo dei fondali». Laura Pugno
Le relazioni
Sara Ventroni
Libro
editore: Aragno
anno edizione: 2019
pagine: 128
Per tradizione sono pericolose. Le Relazioni, policentrica opera terza di Sara Ventroni, segue a due concept-album, di contro, ossessivamente centripeti: Nel Gasometro e La sommersione. S'interseca a questi libri nonché a uno, narrativo, che non ha mai visto la luce; ed è frutto di un'esistenza che, negli interstizi fra un libro e l'altro («ritiri temporanei» come quello dell'amazzone che vola più in alto, reculer pour mieux sauter), è stata tanto altro dalla poesia. "Altro", sempre, è il soggetto poetico: insonne della «loro insonnia», nell'episodio più traumatico. Ma soprattutto ci sono gli altri: «la verità di qualcun altro» è la regola delle «relazioni» che - mi scrive Sara - non sono i «legami». Se questi tengono «ferme le cose», le relazioni sono invece «l'imprevisto», «l'inconosciuto tra persone, oggetti e paesaggi». Sta di fatto che «da una relazione si può uscire. Anche se la relazione lascia tracce». Le tracce degli altri materiavano la lezione del maestro che più manca, la pietà oggettiva del Pagliarani cui sono dedicati non solo le Ottave e gli Epigrammi della prima parte. Ce l'ha insegnato lui, che la forma della vita è consustanziale alla forma dell'opera: e infatti «le relazioni», prosegue Sara, «sono il modo in cui parlano i linguaggi». Sino all'estremo di inventarsi in un'altra lingua la sinopia della propria, quest'altro può venire dalla letteratura (come nelle calligrafiche «barbare», che mettono in scena un io mai così "altro"; o nella riscrittura dalla Gertrude Stein che cogli occhi di quell'altro, di quell'altra, "cubisticamente" volle vedersi) oppure, per esempio, dalla militanza delle donne. Ma le relazioni non sono solo fra le persone. Come sempre, nella poesia di Ventroni, la sua è prima di tutto un'intuizione "fisica" della forma della realtà (se è vero che «tutto tiene / tutto, il bosone di Higgs conferma: / ci si appartiene»): sicché l'energia che indomabile la anima non è altro che «il desiderio di esprimere il ritmo del mondo visibile». Andrea Cortellessa
Sommario dei luoghi comuni
Michele Zaffarano
Libro
editore: Aragno
anno edizione: 2019
pagine: 100
«Le idee dei tempi non è i sentimenti dei tempi [...] i sentimenti dei tempi svela le assenti idee dei tempi», scrive Michele Zaffarano - ed è su questa ascissa ideale che si abbattono le coordinate dei Luoghi comuni. Zaffarano è traduttore e, dunque, immedesimato conoscitore della scrittura di ricerca francese contemporanea. Tarkos, per esempio. Se la lingua è un invisibile di ciò che siamo, tradurre è imparare a pensare come un altro, essere temporaneamente altro da sé. Questo allenamento all'alterità è una mola, un mulinello e un polo di attrazione centripeto, nella poesia di Zaffarano autore, che spinge la parola a riprodurre obiettività e serialità, più ancora che dell'oggetto in sé, dell'accumulo dell'oggetto diventato merce. Il "Sommario dei luoghi comuni" inscena la serialità della merce sugli scaffali e l'infinita riproducibilità dei fenomeni, pure di quelli umani, un tempo privilegiati. Catalogo melancholico e schedario politico nello stesso momento, il libro specchia la nostra stessa riproducibilità di parlanti, il nostro essere punti di intersezione sull'ascissa-tagliola produttiva. L'idea è che questo libro si debba srotolare come il rullo di una cassa o come un cartiglio, piuttosto che sfogliare; l'idea è che questo libro voglia ipnotizzare il lettore per liberarlo da un'ipnosi storica precedente, tanto è evidente il fine pratico della poesia, il suo additare un organismo che oscilla a occhi chiusi tra la materia fredda di un dibattito interno («è le forme delle espressioni / è contro le forme delle espressioni») e un altro, parallelo e continuo, tra dentro e fuori di sé, che coinvolge anche il caldo del corpo, il quale «espunge i valori alle parole», ma, altrettanto, «i valori dei corpi è internamente alle parole». Ma le parole sono allineate in continue inversioni semantiche, rovesciamenti, ipnotiche spole linguistiche, avvitamenti e carpiati di conio rosselliano - e quella voce che fu rotta, esondante e focosa in Rosselli ora cola nei pixel a tema, coi singulti pseudo-inerziali della flarf poetry, ora è freddata dallo straniamento del vedere il contrario di tutto e d'ogni punto di vista, rinunciando alla puntuta oscenità autoriale in favore di un impianto plurale ed equivalente di sé, raccolti in un imparziale sorriso ironico, tanto più veritativo quanto più equidistante da "idea", "pensiero", "verità", "emozione", dalla stessa materia.
Un semplicissimo universo inespanso
Michele Fianco
Libro
editore: Aragno
anno edizione: 2019
pagine: 100
In questo "Semplicissimo universo inespanso" Michele Fianco presenta venticinque anni di vita letteraria e poetica. E vita, una vita intessuta di linguaggio riflessione e potremmo dire teoria, ma una teoria entangled nelle cose, è forse la parola chiave che ci permette accesso a questi versi. Una poesia carsica per molti anni, orientata nei primissimi inizi negli ambienti di quella che - verso la fine degli anni Novanta e l'avvio degli anni Duemila - si è chiamata la Terza Ondata o neo-neo avanguardia; ma che poi prosegue sostanzialmente da sola, rigenerandosi continuamente nelle sue parti. È compatto come un solido, come una sfera traslucida dentro cui intuiamo ancora altri mondi, questo universo, ha le forme ingannevoli di ciò che è intorno a noi. Oggetti case e strade di un quartiere di Roma, un condominio, un palazzo, un amore che ci si si accampano intorno per l'inganno consueto, ma il corpo sa. E la disposizione teatrale dei mondi stessi, infiniti a volte di cattiva infinità, si tradisce, riaffiora come incertezza nel ritmo - inevitabilmente jazzistico, sempre improvvisato, sempre disposto a impreviste mute, come un serpente che spoglia la pelle fuori stagione - che percorre i versi e i testi. Del resto, anche qui dall'inizio, una vena performativa non è segreta né assente. L'asimmetria tra testo e voce, tra assertività e asemanticità, il diverso disporsi su un quadrante di identità poetiche in uno stesso dire, si riavvolge su sé per ricominciare, sempre uguale, diversa. «Chissà se avevamo capito che eravamo lì a ripararci le vite di ieri», come una lucertola guarita dal sole, come se davvero vi fosse, immortale e invincibile, un cervello rettile della poesia. (Laura Pugno)