Libri di M. Rizzante
Le vite del romanzo
Thomas G. Pavel
Libro: Libro in brossura
editore: Mimesis
anno edizione: 2015
pagine: 420
"Le vite del romanzo. Una storia" di Thomas G. Pavel, studioso fra i più affermati nel panorama internazionale degli studi letterari, esce finalmente anche in Italia. Si tratta di una versione aggiornata e arricchita di un libro, "La Pensée du roman", che in Francia, ormai più di dieci anni fa, rappresentò un vero evento critico letterario e che negli Stati Uniti dal 2013, quando è uscita l'edizione inglese, ha ricevuto molti riconoscimenti prestigiosi: vincitore del premio dell'International Society for the Study of Narrative nel 2013 e del Barbara Perkins and George Perkins Prize nel 2015. Secondo moltissimi studiosi di ieri e di oggi, romanzi come "Le Etiopiche", "Amadigi di Gaula" o "L'Astrea", legati meno ai dettagli empirici della condizione umana e più agli ideali che questa persegue, rappresenterebbero uno stato imperfetto del romanzo, felicemente corretto e rivisto dal realismo del Settecento e dell'Ottocento. Pavel, invece, in questo libro, constatando il persistere dell'idealismo nel corso dell'intera storia del romanzo - una storia che inizia molto prima di Defoe, ma anche di Cervantes e Rabelais mostra, attraverso una straordinaria vastità di esempi, che il motore di tale storia è "il dialogo secolare tra la rappresentazione idealizzata dell'esistenza umana e quella della difficoltà di misurarsi con questo ideale".
Il sipario
Milan Kundera
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2005
pagine: 183
Da tempo Kundera affianca alla sua attività di romanziere la riflessione sul romanzo, che è per lui un'arte "autonoma", da leggere non nel "piccolo contesto" ma nel "grande contesto" della storia sovranazionale. E l'idea che Kundera ci offre del romanzo è quella di un organismo delicato, prezioso, che vive un'unica storia dove gli scrittori dialogano in segreto e si illuminano vicendevolmente: Sterne reagisce a Rabelais e ispira Diderot, Fielding si richiama a Cervantes e con Fielding si misura Stendhal, la tradizione di Flaubert si prolunga in Joyce, Kafka fa comprendere a García Márquez come sia possibile scrivere in maniera diversa.
François Ricard legge «Lo scherzo» di Milan Kundera
François Ricard
Libro: Libro in brossura
editore: Metauro
anno edizione: 2003
pagine: 47
La festa dell'insignificanza
Milan Kundera
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2014
pagine: 128
Gettare una luce sui problemi più seri e al tempo stesso non pronunciare una sola frase seria, subire il fascino della realtà del mondo contemporaneo e al tempo stesso evitare ogni realismo - ecco "La festa dell'insignificanza". Chi conosce i libri di Kundera sa che il desiderio di incorporare in un romanzo una goccia di "non serietà" non è cosa nuova per lui. Nell'Immortalità Goethe e Hemingway se ne vanno a spasso per diversi capitoli, chiacchierano, si divertono. Nella Lentezza, Vera, la moglie dell'autore, lo mette in guardia: "Mi hai detto tante volte che un giorno avresti scritto un romanzo in cui non ci sarebbe stata una sola parola seria ... Ti avverto però: sta' attento". Ora, anziché fare attenzione, Kundera ha finalmente realizzato il suo vecchio sogno estetico - e "La festa dell'insignificanza" può essere considerato una sintesi di tutta la sua opera. Una strana sintesi. Uno strano epilogo. Uno strano riso, ispirato dalla nostra epoca che è comica perché ha perduto ogni senso dell'umorismo.
Sinfonia di Novembre e altre poesie. Testo francese a fronte
Oscar Vladislas Milosz
Libro: Copertina morbida
editore: Adelphi
anno edizione: 2008
pagine: 300
Nato nel cuore della Bielorussia e suddito dell'Impero russo, Oscar Vladislas de Lubicz-Milosz non cessò mai di rivendicare l'antico lignaggio lituano; la sua lingua madre era il polacco, ma questo non gli impedì di diventare un grande poeta cosmopolita di lingua francese. Benché annoverato fra i simbolisti francesi tardivi, Milosz (così scelse di firmare i suoi libri) si sottrae a qualsiasi classificazione. E mentre ovunque si imponevano le Avanguardie e trionfavano gli esperimenti più bizzarri e le innovazioni più disperate, egli scelse di allontanarsi da quella che definiva una "pericolosa deviazione", destinata a suscitare tra il poeta e la "grande famiglia umana" una "scissione" e un "malinteso". Scissione e malinteso che hanno invece, troppo a lungo, oscurato la sua solitaria ricerca, così refrattaria alle curiose ricerche dell'io e così "appassionata del Reale", e oggi più che mai meritevole di uscire dalla ristretta cerchia degli iniziati.
Un incontro
Milan Kundera
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2009
pagine: 186
Quando Paul Valéry fu accolto, nel 1925, fra gli "immortali" dell'Académie française, si vide costretto - lui che non aveva grande stima per l'arte del romanzo - a pronunciare l'elogio di Anatole France, suo predecessore. In un 'panegirico' divenuto leggendario, non solo riuscì a parlare di France senza mai menzionarne il nome, ma con squisita perfidia contrappose le sue opere a quelle di Tolstoj, Ibsen, Zola, tacciandole di leggerezza. Non c'è da stupirsi, ci avverte Kundera: difficilmente il romanziere rientra nella schiera di coloro che incarnano lo spirito di una nazione. Proprio in virtù della sua arte, il romanziere è per lo più "segreto, ambiguo, ironico", e celato com'è dietro ai suoi personaggi - difficilmente si lascia ridurre a una convinzione, a un atteggiamento: quel che gli preme non è la Storia (e tanto meno la politica), bensì il "mistero dei suoi attori". Come Beckett, è libero, persino dal virtuoso senso del dovere che lo vorrebbe prigioniero di un Paese o di una lingua; come Danilo Kis, respinge ogni etichetta, anche quella, proba e accattivante, di emigrato o dissidente; come Skvorecky, è pronto a rivolgere il suo "inopportuno humour" contro il potere e insieme contro il "vanitoso gesticolare" di chi protesta. E spesso finisce sulle liste di proscrizione che governano i gusti letterari: soprattutto quando, come Malaparte, ci rivela la cupa bellezza di una realtà diventata folle, la nuova Europa nata da un'immensa disfatta, e un nuovo modo, vinto e colpevole, di essere europei.
I sonnambuli
Hermann Broch
Libro: Prodotto composito per la vendita al dettaglio
editore: Mimesis
anno edizione: 2010
pagine: 716
La trilogia romanzesca dei “Sonnambuli”, pubblicata fra il 1931 e il 1932, si apre con il romanzo “Pasenow o il romanticismo”, cui seguono “Esch o l’anarchia” e “Huguenau o il realismo”. La storia di ogni romanzo si svolge a distanza di quindici anni dalla precedente: 1888, 1903 e 1918, cioè l’inizio, l’apogeo e la fine dell’impero guglielmino. Sebbene i tre romanzi affrontino tre momenti cruciali della storia tedesca, non si tratta in questo caso di un affresco storico alla maniera di Thomas Mann o di Proust. La Germania guglielmina è concepita da Broch come un laboratorio. L’unità dei tre romanzi, dunque, è data non dalla continuità dell’azione, ma da una stessa domanda che li attraversa: che cos’è l’uomo di fronte a un mondo che si rivela essere un processo di “disgregazione dei valori”? In questo mondo senza più unità etica, filosofica o scientifica, e frazionato in migliaia di specializzazioni, per Broch il romanzo diventa allora “lo specchio di tutte le altre immagini del mondo”, l’ultimo avamposto per cogliere la vita umana nella sua totalità.
Scuola del mondo. Nove saggi sul romanzo del XX secolo
Libro: Libro in brossura
editore: Quodlibet
anno edizione: 2011
pagine: 250
Se la storia e la teoria della letteratura diventano sempre più nemiche dell'arte del romanzo, solo i romanzieri possono dire qualcosa di interessante sulla loro arte. Da questa realtà trae spunto l'idea di raccogliere nove saggi letterari scritti a diverse latitudini. La storia del romanzo è sovranazionale e così dovrebbe esserlo la critica letteraria. Dalla Francia di Taillandier e Scarpetta alla Spagna di Goytisolo, dall'America Latina di Fuentes all'Italia di Affinati e Moresco, dalla Grecia di Proguidis al mondo anglossassone di James Wood e al Canada anglofrancofono di Francois Ricard, i diversi saggi riflettono ciascuno su un'opera di un grande romanziere del xx secolo, da Kafka a Musil, da Hemingway a Svevo, da Faulkner a Kundera. Baudelaire, all'inizio della nostra modernità, ha affermato che "quanto più la critica è personale tanto più è universale". C'è da aggiungere altro? Forse questo: la sopravvivenza delle opere d'arte dipende dalla nostra capacità di non spezzare il legame famigliare, perfino organico, che ci lega a loro. Se rinunciamo a pensare in modo libero il senso, la qualità e la novità formale delle opere, di quelle presenti come di quelle passate, esse precipiteranno ben presto al rango di décor, di ornamento, destinato a documentare un'epoca storica, ma non a rivelarla.
La festa dell'insignificanza
Milan Kundera
Libro: Copertina morbida
editore: Adelphi
anno edizione: 2013
pagine: 128
Gettare una luce sui problemi più seri e al tempo stesso non pronunciare una sola frase seria, subire il fascino della realtà del mondo contemporaneo e al tempo stesso evitare ogni realismo - ecco "La festa dell'insignificanza". Chi conosce i libri di Kundera sa che il desiderio di incorporare in un romanzo una goccia di "non serietà" non è cosa nuova per lui. Nell'Immortalità Goethe e Hemingway se ne vanno a spasso per diversi capitoli, chiacchierano, si divertono. Nella Lentezza, Vera, la moglie dell'autore, lo mette in guardia: "Mi hai detto tante volte che un giorno avresti scritto un romanzo in cui non ci sarebbe stata una sola parola seria ... Ti avverto però: sta' attento". Ora, anziché fare attenzione, Kundera ha finalmente realizzato il suo vecchio sogno estetico - e "La festa dell'insignificanza" può essere considerato una sintesi di tutta la sua opera. Una strana sintesi. Uno strano epilogo. Uno strano riso, ispirato dalla nostra epoca che è comica perché ha perduto ogni senso dell'umorismo.